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“La curiosità perché è lo stimolo evolutivo più emozionante: vedere cosa succede a mangiare il salame con la nutella, come si faceva da ragazzacci, rappresenta il primo passo per diventare un gran gourmand. La fame perché è il primo istinto vitale. La passione in cucina è dentro di noi e, da parte mia, con questo lavoro cerco di contagiare il lettore”.

Questo il senso del titolo della prima fatica letteraria di Massimo Guarducci, castellinese docg da sempre appassionato di cucina, blogger e navigatore culinario in rete, che, dal 2012, gestisce un esercizio di ristorazione a Santa Colomba, nei dintorni di Siena.

“Un cuciniere” di professione, come si definirebbe lui stesso secondo i canoni del libro, ovvero sempre in grado di destreggiarsi ai fornelli a seconda delle situazioni, delle stagioni e delle relative disponibilità di materie prime e ingredienti.

libromassimoguarducci1 “La curiosità, la fame e la passione – Appunti, diari, chiacchiere, ricette e ricordi di cucina”, fresco di stampa, è un volume che non si presta a una semplice classificazione, come suggerisce in prefazione il professor Gino Melchiorre che, tra le categorie di saggio, ricettario e manuale, finisce per preferire il termine diario.

Tra flashback dal sapore nostalgico negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza (“A volte ci si concedeva un po’ di paranza e qualche totanino, ma la frittura si mangiava bene quando si andava al mare a Follonica…”) e altri più frivoli e scanzonati risalenti agli anni di gioventù (“Quando ancora si mangiava a crepapelle e si andava in pizzeria una o due volte la settimana con la 127 ultratruccata…”) che assumono inevitabilmente anche il valore della testimonianza storica, Guarducci omaggia il lettore del proprio patrimonio culinario ma non si limita a offrire nozioni di natura alimentare e restituisce anche il contesto socioculturale nel quale certi piatti vengono pensati e cucinati.

In questo percorso, il suo libro assume il carattere di un tributo alla toscanità: all’essere figlio di una terra, profondamente rurale e allo stesso tempo culla del Rinascimento, che insegna a essere semplici e concreti senza perdere il respiro della riflessione poetica ed estetica.

Così come gli resta facile, sul piano della scrittura, passare dal frequente uso di termini dialettali e popolari a francesismi e inglesismi o a forbite citazioni letterarie, da Dante all’Artusi passando da Marcel Proust e Manuel Vázquez Montalbán, dal punto di vista gastronomico Guarducci restituisce un menù di piatti e di ricette che vanno dagli elementi più tipici della cucina povera, come la panzanella e la ribollita, a quelli più ricercati come il cinghiale in dolce e forte con pinoli e sciroppo di ribes, che “sembra una ricetta americana… ma che in realtà è toscanissima, anche se può sembrare qualcosa uscito dalla fantasia di uno chef di grido…”.

Coerentemente, il suo forte radicamento alle sapienti leggi della tradizione, che trova la sua massima espressione nella dedica alla mamma Luisa e nel ricordo dei “meravigliosi sapori e profumi che mi ha regalato e insegnato…”, non gli impedisce di ragionare e di collocarsi nella contemporaneità, tra riferimenti a Wikipedia e a programmi televisivi come “Orrori da gustare” e il ricorso a strumenti da cucina ormai globali come la padella cinese “Wok”.

Che l’autore sia un eclettico lo si capisce anche dai diffusi rimandi ai mondi del cinema e della musica. Nel primo caso, per esempio, quando, rompendo lo stile formale delle intestazioni dei paragrafi, ne intitola uno “Il burro fatto in casa è una figata pazzesca”: decisamente assonante, per quanto di significato opposto, al giudizio che il ragionier Ugo Fantozzi dà del film “La corazzata Potëmkin”. Oppure, nel secondo, quando definisce il condimento aglio, olio e peperoncino come il “giro di do” per chi suona la chitarra o quando inserisce la canzone “Back in Black” degli AC/DC tra gli elementi necessari nella preparazione delle sue linguine con soppressata e cipolla.

Per quanto Guarducci elegga la cucina ad arte nobile perché “è creatività e permette di mettere in un piatto la tua essenza, le tue emozioni e i tuoi pensieri in qualcosa che poi diventerà parte di qualcuno che la mangerà”, nel finale ci ricorda che essa, anziché essere un fine, è soprattutto un mezzo: “Io penso che quando si hanno degli amici alla propria tavola, la cosa migliore sia di non passare troppo tempo ai fornelli, ma di preparare quanto prima possibile e godersi l’allegra compagnia”. Un messaggio che chiude il cerchio sull’essere toscani, consapevoli che la qualità della vita passa anche e soprattutto da queste cose.

Il volume, che nelle prossime settimane sarà presentato da parte del suo stesso autore in occasione di incontri pubblici, è già in vendita negli esercizi commerciali “La Magona” ed “Emporio Chianti” di Castellina in Chianti.

Cosimo Ciampoli

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