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I ricordi dell’infanzia. La merenda con pane e olio. L’agnello che in casa non mancava mai, “e che oggi mangia con gusto anche mio figlio” ci dice con orgoglio.

Incontriamo Giovanni Luca Di Pirro, Executive Chef del Castello del Nero Hotel & Spa, in una freddissima mattina di novembre. Guida Michelin ha decretato le sue Stelle: una di queste continua a nobilitare il ristorante del Castello, “La Torre”.

Ma, come ci spiega Di Pirro nella nostra chiacchierata, la Stella Michelin “non è certo un punto di arrivo, ma una soddisfazione, un orgoglio, ma soprattutto lo stimolo a migliorarsi”.

Di Pirro, come definirebbe la sua cucina?

“Una cucina moderna e contemporanea, legata al territorio toscano per tutti i suoi prodotti. Dai piccioni, alle anatre, ai polli, fino al pesce delle nostre coste. Alla collaborazione con i fornitori: sulla frutta e verdura ad esempio, con il nostro ortolano di fiducia a Tavarnelle con il quale sviluppiamo insieme curiosità e ricerca”.

Cosa la emoziona in un prodotto? Cosa la fa decidere di utilizzarlo?

“Innanzi tutto assaggio, è questo l’aspetto principale. Credo di avere un buon palato. Dal gusto parte tutto, iniziare a sentire la texture, i sapori: difficilmente mi colpisce l’occhio. Adesso ad esempio sto facendo una ricetta con l’arista del Casentino, cotta a bassa temperatura, tenera, con salsa tartufata e tartufo. La qualità della materia prima è fondamentale. Spesso noi cuochi complichiamo troppo le cose”.

Un piatto che la rappresenta?

“Ce ne sono diversi. Amo il piccione, amo fare la pasta, l’agnello, il pesce in particolar modo. Mi sono affezionato a tanti piatti; del resto amo cucinare… ma anche mangiare”.

Appunto, un piatto che le piace mangiare?

“La classica merenda che si faceva da piccini, pane e olio, pane vino e zucchero. Ancora oggi lo faccio. Sono ingredienti della memoria, del buon ricordo. Mio padre era abruzzese, l’agnello era di casa. Ho ricordi indelebili, come i cappelletti che faceva mia madre, romagnola. E una cosa che mi piace è la pasta senza sughi. Amo assaggiare grani particolari, in purezza: pasta a olio per sentire al meglio possibile il grano”.

Da chef come si comporta quando… va al ristorante?

“Quando vado a cena fuori, spesso con mia moglie e mio figlio, il primo approccio è quello di stare sereno a tavola, senza voler giudicare. Negli anni ho imparato a capire che dietro a quello che si vede in tavola c’è un mondo. Complesso e fatto di persone. Certo, quando vai in certi posti hai delle aspettative; talvolta non vengono soddisfatte, ma si può capire. Magari per un momento no, oppure una diversità di opinione fra chi è a tavola e in cucina”.

Quindi, cosa accade quando è lei dall’altra parte della barricata?

“Quando mi approccio a un cliente in sala la matrice principale è l’umiltà. Preferisco che le critiche mi vengano fatte. Così posso spiegare come nasce il piatto, il percorso fatto. Confronto e onestà: invece, purtroppo, a volte questo confronto manca. E magari si preferisce scrivere su Tripadvisor”.

Lavorare in un cinque stelle lusso cosa vuol dire?

“È ristorazione a 360 gradi, che parte dal mattino fino alla notte. In un hotel siamo come in una casa, il cliente viene per essere a proprio agio, ha esigenze particolari. Dobbiamo garantire comodità, tranquillità, eccellenza: l’ospite è da coccolare a 360 gradi. Senza però essere troppo rigidi: cerco di far capire che mostrandosi in modo professionale ma un po’ meno formale, più flessibile, il cliente apprezza di più. E la squadra ha risposto benissimo”.

Quale, infine, il significato della Stella Michelin?

“Aiuta a crescere e a farti capire che non c’è mai fine, che bisogna mettersi sempre in discussione. È uno stimolo in più, un punto di partenza, una soddisfazione che deve darti carburante per crescere. Ed è un obiettivo importante e stimolante”.

Matteo Pucci

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