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E’ una primavera speciale nelle cucine dell’Osteria di Passignano. Dove le verdure, per la loro larghissima parte, non sono a km 0. Ma a metri… quasi zero.

E coltivate con una tecnica che affonda le sue radici in un passato che proprio qui, all’ombra della millenaria Abbazia vallombrosana, si tinge anche di magia e sentori medievali.

Veniamo due volte all’orto bioattivo dell’Osteria. La prima è a fine inverno. La seconda in primavera pienissima.

Ci accompagnano il suo “progettista”, l’agronomo Andrea Battiata. Patron Marcello Crini e lo chef Nicola Damiani. Ad aspettarci c’è Luca, che quest’orto lo mette in pratica e lo cura. Metro quadro per metro quadro.

Andrea Battiata con Marcello Crini

“Gli orti medievali – ci introduce Battiata – erano orti conclusi, tipici di una economia circolare. Non c’erano alternative. Qui organizzeremo anche la parte anche dove si fa il compost, ricreando nel terzo millennio dopo Cristo l’economia circolare, riprendendo anche quello che viene scartato in cucina. E’ una precisa scelta, vuol dire non solo recuperare gli scarti, ma anche rimettere il carbonio nel terreno”.

Qui la natura sta letteralmente esplodendo: baccelli, piselli, insalate, zucchine, erbe, piante officinali.

“L’orto – spiega ancora Battiata – si divideva (e continuiamo a dividerlo) in tre parti: l’orto, il pomario con le piante da frutto e la parte con le piante officinali. L’orto serviva ai monaci per mediare la parte farinacea del pane. Quindi con fagioli, piselli, fave. Quello che era scartato veniva dato agli animali. E il letame rimesso in circolo”.

E’ affascinante sentire questo racconto che giunge dal passato al presente mentre, alzando lo sguardo, svettano i merli dell’Abbazia.

A Marcello Crini brillano gli occhi guardandoselo quest’orto. Nel centro ci sono due “dehors” dove “gli ospiti dell’Osteria – ci dice – potranno prendere un aperitivo o mangiare. Al centro di tutta questa meraviglia”.

I frutti dell’orto li prendono anche i monaci, come fanno ormai da due anni, ovvero da quando qui si è iniziato a coltivare per le necessità del ristorante. Stavolta però il passo fatto è davvero importante.

“Rimetteremo la vite per fare il vinsanto – dice Battiata – l’olivo per l’olio santo e il cipresso che è una preghiera per il Signore”.

Le stagioni fondamentali sono essenzialmente due: quella prettamente estiva con pomodori, melanzane, zucchine, fagiolini. E quella prettamente invernale delle rape e dei cavoli.

Per quanto riguarda la terra? “Con la tecnica dell’orto bioattivo – riprende Battiata – si attualizza la vita di un bosco, di una foresta vera. Con tanta sostanza organica. Per fare una foresta ci vogliono cento anni, noi lo facciamo rapidamente. Sostanza organica, minerali e micro organismi. Tutti vengono presi come sottoprodotti di altre filiere. Compost, sabbia vulcanica…”.

E il salice intrecciato per contenere questa terra così ricca e unica: “Anche questa era un’arte” riflette Battiata.

Insomma, cibo per il corpo e per la mente: su questo orto c’è anche una ricerca dell’Università di Firenze e Pisa.

“Non utilizziamo alcuna difesa sulle piante – conclude Battiata – Sono messe semplicemente nella condizione di non ammalarsi. Come dovrebbe essere per l’uomo…”.

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