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Fra poco sarà giugno e presto, percorrendo la nostra campagna, potremmo scorgere qua e là qualche covone di grano sotto il sole cocente. Pochi esemplari rispetto a quando le nostre colline erano dorate.
Nella società contadina, almeno fini agli anni’60, il grano era una risorsa per tutta la comunità.
La vita della gente infatti era scandita dalla raccolta di tre colture principali, che rappresentavano il sostentamento per tutto l’anno: grano, uva e olive ed ognuno di questi momenti aveva non solo una valenza economica ma anche socio-culturale, soprattutto di aggregazione.
Un tempo in cui le relazioni erano scandite dalla condivisione della fatica ma anche da grandi apparecchiature sull’aia, dove si potevano fare anche piacevoli incontri, mentre si degustava un buon piatto di papero in umido ed un buon bicchiere di vino.
La famiglia Mori proprietaria dell’azienda agricola “La Bruscola” a San Casciano, è depositaria di questa antica cultura perché Dante Mori che nel 1967 diede vita a questa attività, era da sempre un esperto maestro di trebbiatura.
Nel tempo l’azienda si è ingrandita e vanta oggi la produzione di vino Chianti Classico, vino in barrique, vin santo ed olio extra vergine di oliva.
Nonno Dante se n’è andato ma nelle memoria del figlio Gennaro e del nipote Stefano quei racconti, sono ancora vivi. Per questo Stefano sta curando in un’ala dell’edificio la realizzazione di un piccolo museo di attrezzi agricoli del passato per offrire anche alle giovani generazioni un modo per conoscere il mondo contadino.
“Non ho vissuto in prima persona quei momenti – ci confessa Stefano – ma sono cresciuto vedendo tutti i giorni questa trebbiatrice, ormai inutilizzata, che apparentemente se ne sta lì immobile ma che ogni giorno mi ricorda dove affondano le nostre radici”.
Benito Mori, originario di Santa Cristina in Salivolpe, cugino di Dante, conosciuto da tutti come “Ugo”, è stato per i nostri lettori la voce narrante dei tempi passati, quando ancora ragazzo insieme a Dante faceva la trebbiatura per le fattorie del nostro territorio.
Ci ha raccontato con estrema puntualità ed emozione tutti i momenti legati alla raccolta e battitura del grano, quando appena 17enne nel 1954, cominciò questo lavoro: quello dell’imboccatore.
“Di qua e di là dalla trebbiatrice – comincia a raccontare Ugo – c’erano quasi sempre ragazze che tagliavano il covone e me lo passavano ed io imbaccavo appunto il grano nella bocca della trebbiatrice. Prima si partiva dalla mietitura del grano con la falce, intorno al 10 giugno, lo si ammontava e si faceva la barca”.
“Questa barca – prosegue – la manteneva il grano anche per un mese, con le spighe tutte rivolte all’interno. E c’era una vera propria gara a chi la faceva meglio questa barca. Poi verso la metà di luglio si cominciava con la trebbiatura. Ogni contadino faceva la sua ed era una vera e propria festa con i parenti, il vicinato e chiaramente noi macchinisti, considerate persone di rispetto, che si aveva una fidanzata per ogni fattoria”.
Della spiga non si buttava via niente: dai chicchi si faceva il grano, dallo stelo la paglia per gli animali e la loppa veniva messa nel pollaio dalle massaie perché i polli qualche chicco lo trovavano sempre.
“Quando si passava dalla Romita con la trebbiatrice – continua Ugo – c’erano sempre persone ad aspettarci sulla strada per salutarci. Tutti aspettavano la trebbiatura e ne cominciavano a parlare anche un mese prima, perché era una festa”.
“Si lavorava tanto – dice Ugo – dall’alba al tramonto, ma non si sentiva la fatica perché c’era allegria. Per me i migliori anni della mia vita”.
“Poi con gli anni ’60 il tempo d’oro dell’agricoltura cominciò il suo lento declino – ci spiega Gennaro – e insieme alla sempre maggiore meccanicizzazione ci fu l’abbandono dei contadini dalla campagna verso la fabbrica ed anche per il babbo Dante arrivò piano piano il tempo di riporre la trebbiatrice perché non c’erano più i margini per coltivare il grano”.
Quel mondo contadino appassionato e solidale pur nel duro lavoro, che Ugo ci ha fatto rivivere attraverso il suo racconto, non deve essere dimenticato.
Come sottolinea Gennaro “il grano era allora la vita delle famiglie, oggi invece la coltura del cereale è quasi sconosciuta ai giovani E’ per questo che noi collaboriamo anche con la Scuola di Agraria e spesso facciamo dimostrazioni nel Piazzone, affinché il mondo dei nostri nonni venga conosciuto. Lì possiamo trovare le radici del nostro territorio”.