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Una delle cose più spettacolari del Chianti sono le fioriture del Giaggiolo.

Questo fiore mi ha sempre incuriosita e quindi mi sono messa sulle tracce di qualche “giaggiolaio”.

L’ho trovato in Leonardo Manetti , 40 anni, di Greve in Chianti, giovane viticoltore ma soprattutto, per noi, “giaggiolaio”.

Si definisce così “ un “folle” perché per lavorare in agricoltura bisogna esserlo.

Fare giaggiolo e altri prodotti agricoli è prima di tutto uno stile di vita particolare che devi avere nel sangue: “Ma sono anche un saggio e un poeta, altre caratteristiche che servono per coltivare la terra e trasformarne i suoi prodotti”.

Parlando con lui scopro una curiosità e cioè che questa parola, “giaggiolaio”, che pensavo di aver inventato io, in realtà era proprio il termine con cui si definivano i vecchi coltivatori del Chianti.

Mi racconta che “coltivare il Giaggiolo è una tradizione di famiglia e una passione ereditata da mio nonno che per tutta la vita ha coltivato questo fiore nei campi, sulle prode, nelle piagge, a solatio”.

Mi fa vedere con nostalgia e orgoglio una foto di lui da bambino che lavora un bulbo e mi spiega che “questa pregiata coltivazione è tipica del Chianti. E’ stata importantissima fino dalla metà dell’800 e molti contadini ci si sono “fatti la casa”. Dopo gli anni ’80, con il boom del vino, questa coltura si è spenta per lasciare il posto ai più redditizi vigneti ma ogni vino del Chianti porta ancora con se il delicato sentore del profumo del giaggiolo”.

Leonardo mi racconta che “è il giaggiolo lo stemma di Firenze, se pur chiamato giglio”.

“Il giaggiolo o Iris pallida – continua – presente sulle nostre colline, si coltiva per estrarre, attraverso la distillazione dal bulbo, una delicatissima essenza che profuma di violetta”.

Leonardo coltiva i suoi fiori nella zona di Lamole (Greve in Chianti), grazioso borgo famoso per gli antichi muretti che trattengono fazzoletti di terra coltivati a vite e olivo e che a maggio si trasformano, grazie alla fioritura dell’Iris, in un mondo spettacolare di un colore turchino pallido. Poesia e gioia per l’anima e paradiso dei fotografi.

“I segreti per coltivare questo fiore – mi spiega – sono passione e pazienza perché dal momento della piantagione passeranno 3 anni prima di raccogliere i bulbi. Tagliati, essiccati e spediti all’industria del profumo, in Provenza, Francia, verranno distillati per estrarre l’essenza che finirà nei profumi più famosi del mondo”.

“Il lavoro – riprende – si concentra a luglio e agosto ed è molto impegnativo perché tutto viene fatto a mano. La soddisfazione è tanta nel vedere la meravigliosa fioritura e nel sapere di contribuire in modo attivo a riportare tanta biodiversità del nostro territorio, che piace anche ai turisti sempre più sensibili alle bellezze della natura”.

Leonardo è anche vice presidente, continua, “di un’associazione che riunisce 200 coltivatori di giaggioli del Chianti e del Valdarno, un’unione di persone , molte anziane, che fanno rete tra loro condividendo passione e sapienza”.

“Attraverso l’associazione – racconta – riusciamo ad essere più forti per esportare il nostro prodotto su un mercato sempre più difficile e concorrenziale e stiamo lavorando ad un importante progetto futuro che speriamo possa permetterci di distillare i bulbi direttamente sul nostro territorio”.

Non rimane che attendere il prossimo poetico spettacolo… della fioritura. 

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