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Rita Bellentani è emiliana, vive da 20 anni in Romagna e da quattro lavora al ristorante Il Cavaliere di Gabbiano.

Donna appassionata, la incontriamo nell’aia del ristorante del Castello di Gabbiano, luogo incantevole fra Mercatale e la valle della Greve.

E la chiacchierata che ne esce è, a dir poco, piacevole. Racconta la passione per la cucina, per i prodotti, per il lavoro di squadra. Per le erbe e per le spezie. Per i profumi, i gusti e le consistenze.

Lo staff del Cavaliere di Gabbiano

Rita, quale la filosofia del Cavaliere di Gabbiano?

“Il territorio, senza ombra di dubbio. Il fresco, lo stagionale, una cucina toscana autentica. Ogni mese, mese e mezzo cambia la carta”.

Come la “costruite” la vostra carta?

“Abbiamo pensato, ad esempio, a dei piatti da condividere, per dare ai nostri ospiti la possibilità di assaggiare più cose di quelle che prepariamo. Abbiamo il privilegio di lavorare in una cucina eccezionale dal punto di vista tecnologico. In carta c’è una bruschetta di coniglio ad esempio: per averlo così buono, tenero e profumato siamo in grado di cuocerlo in sottovuoto a 60 gradi per 12 ore”.

Qui la filosofia della filiera corta è un punto centrale…

“Per l’olio extravergine usiamo il nostro, una Dop Chianti Classico franta nel nostro frantoio. I piatti sono della tradizione toscana e tutti fatti da noi, al momento. Ad esempio i crostini di fegatini sono battuti a mano. La ricetta? Salvia, rosmarino, maggiorana, fegatini, Vinsanto, cipolle rosse e tante erbe; dal nostro orto e giardino di erbe aromatiche ne usiamo tantissime, è un privilgio. Alla fine un pizzico di acciughe e capperi”.

Quali le sensazioni che spera di far provare a chi siede a tavola?

“Il territorio, l’autenticità, la freschezza e l’attenzione al gusto. Cerchiamo anche una buona presentazione, ma l’importante è che i piatti siano gustosi”.

C’è un piatto al quale è particolarmente legata, che magari le fa più piacere sentire in comanda?

“Sono tanti. Tutte le paste ad esempio sono fatte da noi: gnocchetti, cavatelli, tortelli, pappardelle, fatti a mano così come i ripieni. Sono di origine emiliana e quindi è una grande passione. Anche i ripieni seguono le stagioni”.

I secondi…?

“Anche qui sono fatti con i crismi di un secolo fa. Agnelli e anatre vengono disossati da noi e con le ossa facciamo i fondi. Uno dei nostri piatti forti è la faraona al mattone, che ha un condimento al ginepro e limone, le persone fanno km per venire a mangiarla. Per fare la crosta dorata metti un peso sopra per renderla pressata e croccante sulla padella”.

Lei poi ama uscire e cogliere le erbe…

“L’orto aromatico che abbiamo noi, come dicevo, è un privilegio che hanno in pochissimi. Quattro tipi di salvia, tre tipi di timo… Nelle nostre patate arrosto il sale alle erbe che le condisce ha dentro sei tipi di erbe”.

Dolci?

“Ne abbiamo tanti e tutti fatti da noi. La tecnologia ci permette di fare delle preparazioni che a mano sarebbero impensabili: crema inglese, zabaione al vinsanto, meringhe all’italiana, salse e composte di frutta… . Ho ingredienti di eccellenza e uso una macchina che mi dà delle certezze. Da quest’anno proponiamo i nostri gelati, con le nostre selezioni. Sono veri gelati, non ice-cream. La parola gelato si può usarla solo per il gelato artigianale fatto da zero, gli altri sono ice-cream. Li facciamo con la frutta fresca”.

Insomma, qui siamo lontani anni luce dalla spettacolarizzazione della cucina e dagli chef sotto i riflettori…

“A noi interessa la qualità delle materie prime, le preparazioni lente e ben eseguite. Fare una buona cucina”.

Matteo Pucci

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