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Quando alla fine dell’Ottocento venne costruita la ferrovia del Chianti ci fu, a detta degli anziani del ‘900, una piccola rivoluzione nel sistema dei trasporti in quanto il piccolo sistema ferroviario andò a interferire col sistema  dei “barrocciai” e” vetturini” con trazione a cavalli in uso fin dai tempi remoti.

Il nuovo sistema creò anche un falso timore nelle campagne perché in quegli anni comparvero sui grappoli acerbi dell’uva dei batuffoli bianchi e subito si dette la colpa al fumo della “Caffettiera”.

Era l’Oidio, un fungo che insieme alla Fillossera (insetto), avrebbero distrutto in un ventennio i vigneti del Chianti. Quando mio padre, “ragazzo” del 1899, tornò a casa dopo aver partecipato alla Grande Guerra trovò il disastro…  le viti se ne stavano andando perché la fillossera gli mangiava le barbe e l’oidio danneggiava i chicchi dell’uva che le viti superstiti producevano.

Il popolino diceva che quelle nuove pestilenze erano state seminate apposta dalle altre nazioni  in concorrenza col prodotto e non erano edotti sui nuovi metodi di coltivazione già in uso in Francia.

In quegli anni si procedette a reimpiantare le viti, non col vecchio metodo delle talee di vite domestica, perché attaccabile dalla fillossera, ma ricercando un metodo nuovo: un portainnesto con la cosiddetta vite americana.

Americana perché quelle varietà selvatiche venivano dal nuovo mondo ed erano refrattarie agli attacchi della fillossera in quanto endemica in quei luoghi e trasportata in Europa  con l’importazione delle barbatelle. Ci furono molti studi sulla qualità dei cloni da usare in quanto non tutti si prestavano ad associarsi al fruttifero; alcune varietà rimanevano col gambo piccolo sotto l’innesto, altre non seguivano l’accompagnamento del grappolo verso la maturazione… .

Ci fu un gran daffare per i ricercatori del tempo e finalmente trovarono i cloni giusti anche per i terreni. A questo punto c’era da innestare, e quindi attraverso dei corsi delle Cattedre Ambulanti di Agricoltura, rivolti ai giovani si formarono gli innestini che in pochi anni riportarono in vita le viti del chianti e oltre.

Mio padre fu uno di questi, che fino agli anni ’70 del 900 hanno portato avanti la tecnica dell’innesto “a Occhio dormiente”, consistente nello staccare una gemma dal tralcio maturo a fine agosto e inserirlo, con piccolo incastro, sul portainnesto piantato nell’anno precedente; oppure a spacco e marza di tralcio con una o due gemme, nella primavera successiva quando l’occhio ha fallito.

Adesso tutto è cambiato, gli innesti si fanno in laboratorio e le viti si piantano direttamente innestate sperando che la qualità dei frutti sia quella richiesta. Alle volte a qualcuno capita che sia tutt’altra cosa e allora bisogna intervenire di nuovo con l’innesto.

L’Oidio viene curato con lo zolfo e altri agenti, la fillossera sembra si sia evoluta e adattata all’ambiente nostrano e non ostante che i portainnesti la  tollerino, sembra che sia in grado di fare ancora dei danni.

Roberto Borghi