E’ stata un’occasione unica per ammirare venti opere inedite di Nino Tirinnanzi.

Ad offrirla è stato il Comune di Greve in Chianti che, in collaborazione con la famiglia, ha promosso un originale percorso artistico dedicato ai ritratti, ai capolavori realizzati da uno dei più grandi maestri del secolo scorso.

Nato a Greve in Chianti cento anni fa e scomparso nel suo paese natale nel 2002.

Negli spazi del Museo San Francesco, fino al 23 settembre, si è infatti potuto ammirare la mostra “Nino Tirinnanzi alla ricerca dell’uomo perduto”, curata da Giovanni Faccenda.

Un taglio del nastro partecipato da numerosissime persone, preceduto da una conferenza sul tema “Dall’infanzia a Greve al suo mondo artistico”, e un grande successo complessivo.

Intensi e pieni di stimoli e riflessioni sullo spessore artistico di Tirinnanzi e lo scenario culturale di cui fece parte, gli interventi che hanno caratterizzato l’occasione di approfondimento.

Tra cui quelli del sindaco Paolo Sottani, del vicesindaco Giulio Saturnini, della nipote Maria Chiara Tirinnanzi, della già direttrice del Gabinetto Vieusseux Gloria Manighetti, del giornalista Marco Hagge e dello stesso curatore Giovanni Faccenda.

L’esposizione ha accolto ritratti di bambini e adulti, figure note e persone comuni, realizzati in 60 anni di vita artistica, dagli anni ’40 al 2001.

Di profonda e intima poesia i dipinti che ritraggono Carla Fracci, Alfonso Righi, il premio Nobel Eugenio Montale, Domenico Giuliotti, Elsa Morante, a dimostrazione delle relazioni e dei rapporti culturali che Tirinnanzi intrattenne nel corso della sua vita con i giganti della letteratura italiana del ‘900.

Ad aver scritto di lui e della sua innata capacità di indagare l’animo umano sono stati Montale, Giuliotti, Gadda, Tobino, Palazzeschi, Landolfi, Parronchi, Pasolini, Luzi, Vittorini, Pratolini, Pasolini, Penna e Bacon.

“A cento anni dalla nascita – sono parole del vicesindaco Giulio Saturnini – abbiamo dedicato a Nino Tirinnanzi il tributo che merita, l’artista, allievo di Ottone Rosai, vive tra i grandi artisti del ‘900, come attesta la fitta rete di rapporti che ha intessuto con le illustri penne dell’epoca ed in particolare con i padri dell’ermetismo italiano, movimento che ebbe un importante punto di riferimento nel clima culturale diffuso a Greve in Chianti nella prima metà del secolo scorso”.

 

Il progetto del Comune dedicato al pittore dell’anima non ha mirato solo a far conoscere la prestigiosa firma di Nino Tirinnanzi, elogiato come “garanzia di autenticità” dal Premio Nobel della letteratura Eugenio Montale.

È stato anche un invito a ripercorrere e scoprire i luoghi che si legano alla memoria di Nino Tirinnanzi nel capoluogo grevigiano: come la sede del primo atelier creativo dell’artista in via delle Capanne, dove il sindaco Paolo Sottani ha scoperto una targa commemorativa, traccia importante della presenza di Nino Tirinnanzi nel cuore storico di Greve in Chianti. È qui infatti che abitò e lavorò negli anni Quaranta.

E ancora le opere si possono ammirare all’interno della chiesa Santa Croce dove è esposta una tavola realizzata originariamente per il Tabernacolo di Sant’Anna, in via primo Maggio; e presso il palazzo comunale di Greve in Chianti, che accoglie uno studio per la pala d’altare “Ecco l’agnello di Dio”, opere realizzate tra gli anni ’70 e ’80.

Molto legata a Nino Tirinanzi era la nipote Maria Chiara, ritratta in una delle opere esposte, grazie alla quale è stato possibile realizzare la mostra supportata dalla figlia Benedetta Mori, i nipoti Filippo ed Edoardo Cappelli.

“Tornando indietro con la memoria – le parole di Maria Chiara – il ricordo più vivo è quello legato ai pranzi domenicali, impregnati della sua forte, affettuosa e spesso impegnativa presenza”.

 

“Fin da piccolissima – prosegue – io e mia sorella, con tutta la famiglia attendevamo l’arrivo dello zio; fin dalla mattina si percepiva in tutta la casa “l’attesa” per qualcosa che doveva avvenire, e l’evento era appunto il suo arrivo”.

“Questo arrivo voleva dire racconti straordinari – ricorda ancora – pieni di vita vissuta, sempre interessanti, non solo perché spesso narravano di personaggi famosi, ma anche quando i protagonisti erano persone comuni, i racconti non perdevano vivacità o interesse”.

“L’aspetto che li caratterizzava – conclude – era comunque la voglia instancabile dello zio di leggere nell’anima delle persone, probabilmente spinto dal suo innamoramento per l’uomo e per la vita”.

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