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Partiamo, come sempre, dai dati: oggi il 52,5% dei vigneti di Chianti Classico è certificato bio.

“Per il Chianti Classico – spiegano dal Consorzio Vino Chianti Classico – la definizione stessa di denominazione si basa sul binomio vino-territorio. Questa centralità della zona di produzione ha portato negli ultimi decenni a considerazioni importanti nel contesto del cambiamento climatico: la tutela del territorio come finalità prioritaria dei viticoltori del Gallo Nero”.

“Coperto per due terzi da boschi – proseguono – con solo un decimo di areale dedicato alla viticoltura, nel territorio del Chianti Classico i produttori di vino oggi mirano sempre più all’equilibrio ecologico, impegnandosi a ridurre l’impatto dell’intervento umano”.

Da un recente sondaggio del Consorzio, cui hanno risposto circa la metà delle aziende associate, “la consapevolezza produttiva – si spiega – è la parola d’ordine dei produttori: il vino rispecchia il territorio come un’immagine fotografica in negativo, e per questo è tanto più importante preservare il contesto ambientale, accanto alla cura di un prodotto di qualità”.

Dal questionario è emerso che il 65% delle aziende è in possesso della certificazione biologica, ma la metà di queste avevano già scelto il biologico più di 10 anni fa.

Da prima degli anni Duemila, quando le aziende biologiche erano solo il 10%, l’incremento è stato costante e sostanziale.

Se si aggiunge a questa percentuale un altro 8% che sta ancora intraprendendo il percorso di conversione, e che otterrà la certificazione entro i prossimi 3 anni, “raggiungeremo – indicano dal Consorzio – presto la soglia del 75%, vale a dire 3 aziende su 4”.

Gli ettari di Chianti Classico certificati bio sono quindi destinati ad aumentare considerevolmente nei prossimi anni.

“Un’altra tendenza in netta crescita – proseguono dal Consorzio del Gallo Nero – sono le buone pratiche di sostenibilità ambientale. Sono 4 aziende su 5 che mettono in pratica almeno alcune delle pratiche indicate nelle linee guida dell’OIV, dalla gestione dell’acqua al riduzione dell’impronta di carbonio nelle fasi produttive”.

Terrazzamenti a Lamole (Greve in Chianti)

Il ventaglio di azioni suggerite è ampio, e va dalla gestione dei boschi (oltre 30% delle aziende), i veri “polmoni” del Chianti, alle buone pratiche in viticoltura (gestione del suolo per prevenire l’erosione e gestione delle risorse idriche, curate rispettivamente dal 72% e dal 34% delle aziende), al riciclo (produzione di compost 25%, riciclo di vetro e carta 36%) fino all’utilizzo di fonti di energia alternativa, come gli impianti fotovoltaici (27%) e pannelli solari (19%).

Una importante introduzione recente è la coltivazione di piante mellifere (12%), per favorire l’insediamento o l’aumento di popolazioni di api, delicato anello di un ecosistema in equilibrio per la loro attività impollinatrice.

 

La conservazione del paesaggio naturalmente passa anche attraverso la preservazione di elementi caratteristici come i muri a secco (la metà delle aziende), i terrazzamenti (il 40% delle aziende) e le famose strade bianche (oltre il 70% delle aziende), segni inconfondibili della campagna toscana per chi fugge dal cemento delle città.

Questa attenzione al territorio a tutti i livelli costituisce anche un importante driver per il turismo: “Circa 7 turisti su 10 – concludono dal Consorzio – controllano le caratteristiche di sostenibilità del luogo di accoglienza. Insieme alla valorizzazione dei prodotti locali, come il vino e l’olio Chianti Classico, il territorio scommette così sulla propria competitività, di oggi, e soprattutto, di domani”.

Muretti a secco a Gagliole (Castellina in Chianti)

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