Articolo disponibile anche in: Inglese

Entro all’Agribar di Brolio e vengo catapultata nel passato. Se chiudo gli occhi partono i ricordi.

Si andava al circolino da ragazzi. Era ACLI oppure ARCI ma erano identici. Cambiava solo la collocazione del Crocifisso. Alle ACLI era appeso, alla casa del popolo era in qualche cassetto ma c’era (non si sa mai!).

Erano i bar di questi paesi. C’erano gli amici a giocare a biliardino e i nonni a “fare a briscola e a ventuno”. Quando erano cinque giocavano a Tre sette!

C’era una gioiosa confusione di giovani che ridevano e di anziani che discutevano per ore sugli scarti delle picche che il compagno immancabilmente non aveva contato bene. Volavano diverse bestemmie (ahimè!).

Siamo nel cuore della Toscana più verace dove il prete, sempre al tavolo da gioco con gli altri, faceva finta di non sentire. Il nostro Don Giuliano urlava “maligna somara” che era il suo modo per inveire contro la sfortuna senza chiamare in causa i Santi. Ma la sostanza era la stessa.

A merenda, si mangiava il pane col pomodoro stropicciato o col vino e lo zucchero, oppure un bel gelato. Quelli inappetenti mangiavano il ghiacciolo. A me non è mai piaciuto; mangiavo il biscotto perché era più sostanzioso.

Non c’era molto da comprare lì al bar. Fette di pane con gli affettati più buoni del mondo, tre o quattro bibite e il vino a gottino.

Quando la moglie del barista aveva voglia, c’era la crostata e la torta con le mele a pezzi dentro.

Al bar si guardava la Tv. Non so come fosse possibile ma c’era sempre il Giro d’Italia e la Parigi-Rubé (qui nessuno sapeva scrivere il francese per bene).

Si ascoltava la musica, si giocava alla Peppa, ci si innamorava (immancabilmente “non ricambiati”) ma di solito durava poco; si stava insieme vecchi, grandi e piccini. Si litigava e si faceva la pace.

Si parlava parecchio e si ascoltava con pazienza. Si rideva a crepapelle; spesso del niente più assoluto. Che meraviglia! C’era anche il telefono ma nessuno lo degnava di uno sguardo. Era il posto pubblico. Il barista andava alle varie case e urlava sotto la finestra “corri, ti richiama ‘i tu cugino tra dieci minuti!”.

Eri certo che era morto qualcuno. Qui da noi, non si telefonava per salutarsi. Si usciva e ci si incontrava. Ecco. Questo è ciò che vedo oggi qui all’Agribar. Non è bello perché è nostalgico. E’ bello perché i vecchi e i giovani che ho descritto, li rivedo. Sono qui. E la cosa più bella è che sono gli stessi.

In un mondo in cui pensiamo che niente è com’era prima, qui ti accorgi che non è vero. Abbiamo altri abiti e altri strumenti ma dentro siamo uguali di generazione in generazione. Basta rallentare e accorgersene!

Cristina Capitini

Leggi altri articoli...