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In Toscana utilizziamo una parola desueta e un po’ nostalgica per il pranzo del giorno cucinato a casa, il desinare.

Il desinare richiama infatti l’interruzione del digiuno, quando il mangiare non era per niente scontato, di pasti se ne facevano pochi e quello del giorno era quasi sempre il principale e il più sostanzioso anche perché doveva fornire le giuste energie per il lavoro.

Negli ultimi decenni il significato della parola desinare è cambiato ed è diventata parola di uso dialettale dal suono dolce e accogliente a identificare il pasto del giorno cucinato fra le dolci mura di casa dalla mamma o dalla nonna. Il desinare è un pasto consumato molto presto, attorno a mezzogiorno.

Non è quasi mai un pranzo leggero o di impronta moderna. È lento perché prevede il mettersi a tavola e gustare più portate, il rintuzzarsi il tovagliolo nel petto per non sporcarsi di sugo, la crosta del pane sciocco messo sulla tavola da spelluzziccare nei brevi intervalli fra un piatto e l’altro, un cicaleccio continuo e garrulo di chiacchiere saporite e veraci.

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Ogni donna ha nella cucina di casa il suo regno assoluto e gli strumenti e i gesti con cui ossequiare questo rito di affetti semplice e profondo.

Il mestolo di legno per girare il sugo, la padella a sfrigolare, gli “odori” per soffriggere, il battuto con la mezzaluna, l’asciughino per tenere le mani sempre pulite e asciutte, il coltello buono per affettare il pane, la stufa per tenere al caldo le vivande, il macinino, la madia per contenere il pane, la dispensa in legno con lo sportello cigolante, la caffettiera che non deve essere mai lavata sennò il caffè non viene buono.

Si desina sempre in cucina, e quasi sempre mentre la mamma continua a cucinare, si siede un attimo e si riappropria repente dei fornelli in una disfida fra “prendine ancora” proferito incombente con spalle erette e un “basta non ne posso più” di risposta dal desinante sempre più accasciato e appesantito sulla seggiola in vimini.

Ancora non si è finito di sorseggiare il caffè, servito bollente, che già si sente lo sciacquio dei cocci a “rigovernare” nell’acquaio: una fretta illogica e ansiosa a rimettere tutto a posto.

Francesco Sorelli – Il Bisarno Oltre la Sieve

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