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Trentotto anni, fiorentino (“La Firenze di una periferia residenziale, ma lavoratrice, lontana un taglio di ferrovia dalla Firenze della rendita e dei soliti studi d’avvocato”) di origine maremmana (“al confine con Umbria e Lazio”), da sette anni fa il pendolare (“felice”) fra Firenze e la campagna di Castellina in Chianti.

Con quella faccia un po’ così, da Nanni Moretti prima maniera, e quello sguardo a tratti obliquo, come quei gatti che ti scrutano sornioni, incontriamo Tommaso Ciuffoletti in un freddo lunedì di febbraio.

Il borgo castellinese ha il suo volto invernale. Molti negozi chiusi, il letargo prima della rinascita di Pasqua.

A pranzo però la sosta è di quelle da non sottovalutare: polenta con sugo di funghi e maiale dentro la Macelleria Stiaccini, che oltre al bancone ha creato uno spazio fantastico per chi ama i sapori veri. Scegliamo la polenta, ma anche le polpette e la frittura di pollo e coniglio avrebbero meritato un po’ di rispetto.

Responsabile marketing e comunicazione presso DCC, Domini Castellare di Castellina, Tommaso è un inedito assoluto nel mondo del vino: dove ha iniziato a lavorare sette anni fa, “senza che di vino ne capissi un granché” ci dice.

Il liceo classico, la laurea in Scienze Politiche, le radici familiari solidamente socialiste, un’esperienza politica (fiorentina e anche romana) molti anni fa.

Oggi la politica di Tommaso è quella dei suoi (seguitissimi) post su Facebook (lo potete seguire qui), dove l’ironia la fa da padrona. “Del resto – ci dice – è quando politicamente non hai niente da perdere che dai il meglio. Lasciando il campo aperto alla fantasia e alla presa in giro”.

In questi giorni di scissione nel Pd si è dannatamente divertito. Caustico, creativo, prima con il “Breve manuale per scissionisti di sinistra”. Poi con un post quasi zavattiniano, in cui ha invitato i delegati dell’assemblea di domenica 19 febbraio a uscire fuori, al sole di febbraio che annunciava la primavera.

Ma sono diventati un classico anche i suoi “scambi di sms” con Silvio Berlusconi, le rassegne stampa alternative: c’è quella dedicata all’Osservatore Romano, quella “riservata a quelli che gli piace guardare il giuoco del pallone giuocato da tipi con la cresta pagati qualche dugentomila euro al mese”, quella più pop con i settimanali che non mancano in ogni negozio di parrucchiera. C’è anche quella che lui annuncia di fare nudo ma poi… è vestito.

Gli articoli sul mensile fiorentino Lungarno (presto in arrivo due belle interviste a politici del Palazzo Vecchio attuale e del recente passato, vi lasciamo… con un po’ di mistero), la rubrica sul vino (sempre su Lungarno), la lettura in diretta social di stralci di classici introvabili come “Diario di un playboy fiorentino” di Luca Bigongiari. E non si fa mancare neanche post che suscitano vespai di polemiche, come quello che ha bacchettato lo sciopero dei tassisti.

Insomma, l’avrete capito. Oltre al vino c’è molto di più. Ma al vino ritorniamo, mentre ci porta in visita all’azienda, affacciata su quella terrazza baciata da Dio che è il versante castellinese che guarda la Valdelsa.

“Sono innamorato del Castellare – ci dice – amo questo modo di fare vino, questa classicità, che troviamo sia nella bottiglia che fuori. Nelle etichette”.

Quelle con un uccellino diverso per ogni anno, diventate a loro volta simbolo e oggetto cult per collezionisti.

Ci spiega cosa voglia dire per lui fare marketing e comunicazione in questo settore. Così complicato, talvolta abusato.

“Saper raccontare storie che partano dall’essenza – dice – dalla verità, per poi adattarsi al meglio a chi hai di fronte. Una scheda di degustazione per un cliente giapponese non può essere la stessa di quella che prepari per un americano”.

Perché secondo Tommaso “bisogna essere onesti, sinceri, ma anche sfrontati. E a volte si ha pure la fortuna di lavorare con aziende top in Europa e nel mondo: stimolanti, dalle quali si imparano tante cose”.

GovernoLui, figlio di storico risorgimentale, si è anche appassionato a un vino che al Castellare fanno da tempo.

Poco mercato, soprattutto locale, ma grande identità e senso di appartenenza: “Il Governo di Castellare è fatto con il vecchio metodo, cioè aggiungendo uva appassita (o mosto di uva appassita) dopo la prima fermentazione”.

“Era il vino di una volta – conclude Tommaso mentre ci salutiamo – quello con l’uva nata sulle viti appoggiate agli alberi, sotto le quali si coltivava altro, come ad esempio il grano. E’ un progetto particolare, a cui tengo e teniamo molto”.

Matteo Pucci

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