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Una legge “buona negli intenti” quella varata dalla Regione Toscana per il recupero degli edifici abbandonati delle aree rurali. Ma con un “approccio parziale al tema del recupero del patrimonio edilizio rurale e alcuni discutibili criteri che di fatto tagliano fuori dal provvedimento la maggior parte delle strutture, rendendolo applicabile solo a pochi casi”.

Muove da queste premesse la richiesta della Rete toscana delle professioni tecniche e scientifiche (Agronomi e Forestali, Architetti, Chimici, Geologi, Geometri, Ingegneri, Periti Industriali, Periti Agrari) di rivederla.

“La legge – spiegano i professionisti – riguarda fabbricati totalmente abbandonati e che non abbiano contratti di fornitura dell’energia elettrica da almeno cinque anni, sono esclusi gli immobili sui quali sia stata presentata domanda di condono nel 1985 o che siano sottoposti a restauro dai regolamenti comunali”.

Tali criteri, secondo la Rete, non tengono in considerazione l’effettiva situazione del patrimonio edilizio rurale e delle aree rurali toscane, che è assai più complessa e variegata.

La norma in sostanza non sarà applicabile a quella larga parte del patrimonio edilizio rurale che versa in condizioni di sottoutilizzo e semi abbandono.

“I loro proprietari – dicono i professionisti della Rete – per aver mantenuto almeno un minimo presidio dell’immobile o del fondo agricolo collegato, quale è un contratto di fornitura di energia elettrica necessario ad esempio per il solo utilizzo di un pozzo, saranno penalizzati rispetto a chi gli ha completamente abbandonati”.

Inoltre, molto di questo patrimonio edilizio costituisce tratto fondante dell’identità del territorio regionale, pertanto i Comuni hanno correttamente previsto il loro restauro, ma secondo i professionisti della Rete ciò non significa che su di essi non si possa intervenire anche con ampliamenti, se necessari e se correttamente progettati. Così come appare sproporzionato escludere chi, ormai 30 anni fa, ha condonato semplici modifiche interne od elementi secondari della costruzione, equiparandolo a chi ha condonato un edificio interamente abusivo.

La Rete fa inoltre notare come la concessione di bonus volumetrici non sia l’unica leva possibile per stimolare il recupero del patrimonio edilizio rurale e che spesso non si riveli una misura efficace, soprattutto in zone caratterizzate da bassi valori immobiliari dove sono più frequenti anche i fenomeni di abbandono.

Il vero rischio è quindi di vedere vanificati gli obiettivi enunciati dalla Legge stessa e conseguentemente di non raggiungere l’auspicata valorizzazione del territorio rurale e del suo patrimonio edilizio, il cui mantenimento costituisce presidio essenziale per il contrasto ai fenomeni di degrado idrogeologico, ormai quasi ovunque irreversibili, e per la tutela dell’identità culturale e paesaggistica dei nostri territori.

Secondo i professionisti, occorre un approccio più approfondito sul tema orientato ad abbattere il costo occulto di iter autorizzativi lunghi e contraddittori, a superare gli ingenti oneri urbanistici che gravano sul recupero degli edifici e a stimolare, con forme di sovvenzionamento, gli interventi che incidano positivamente su rischio sismico e idrogeologico, efficienza energetica e rispetto delle risorse ambientali.

“Chiediamo pertanto – concludono – che si apra il confronto per l’adozione di provvedimenti che affrontino il tema nella sua interezza e che siano caratterizzati da una strategia di sostenibilità nel medio e lungo periodo”.

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