Articolo disponibile anche in: Inglese

Accoglienza, rispetto per gli ingredienti, sono questi i valori alla base del lavoro di Stefania Balducci, e di pastaalpesto cooking (www.pastaalpesto.com),la sua scuola di cucina nata in Olanda nel 2004 e approdata a Montefioralle nel 2010, dove si respira un’atmosfera intima, familiare. Proprio come a casa.

Umbria, Toscana, Inghilterra, Olanda. Hai viaggiato tanto per poi mettere radici nel Chianti con la tua scuola…

“E’ stato casuale, ma ho sempre amato la Toscana, dove tornavo per lavorare nel turismo e tenere i miei corsi, anche quando vivevo in Olanda”.

Da dove viene la passione per la cucina?

“Sono stati i miei nonni, da bambina mi hanno insegnato tanto. Nell’orto con nonno, in cucina con nonna, mentre si faceva i pomodori fuori, gli odori e i colori hanno lasciato un segno. Tutto quello che conosco e che insegno nasce da lì ed emerge gradualmente, un pezzo alla volta”.

Quando hai capito che il cibo sarebbe stato il tuo lavoro?

“Mi trovavo in Inghilterra, dove ho vissuto per un breve periodo. Passavo il tempo a cucinare per i miei amici ed emerse forte il senso di ospitalità tipico dell’Italia. Mi accorsi di avere un gran tesoro per le mani e capii che cibo e ospitalità sarebbero stati il mio futuro”.

Perché il nome pastaalpesto?

“Perché mi piacciono i pesti e le marmellate. Tutti quei vasetti nelle dispense sono un tesoro che ognuno conserva in casa”.

Come si svolgono i tuoi corsi?

“Sono aperti a gruppi dai 4 agli 8 studenti. Cuciniamo tutti insieme cinque portate, un menù intero, che poi mangiamo”.

Qual è l’ingrediente principe di un menù?

“Le verdure sono l’elemento da cui parto. Quello che trovo al mercato o nell’orto mi ispira e dà la direzione al resto del menù”.

E il Chianti, cosa offre di unico al tuo lavoro?

“Il Chianti è molto simile alla mia regione di origine, l’Umbria. Quello che offre di unico questo angolo di Toscana, oltre alla cornice incantevole, è questo forte connubio di buon cibo e buon vino”.

 

Hai studenti in prevalenza stranieri, qual è la ricetta più richiesta?

“In assoluto la pasta, che insegno a fare a mano”.

La cucina fa emergere le differenze nazionali?

“Questa parte è stupenda, la più bella del mio lavoro. In gruppi misti ognuno ha il suo approccio, dopo 40 minuti però il cibo stabilisce un’armonia e le differenze culturali svaniscono”.

Quindi la cucina mette tutti d’accordo?

“Così sembra. Che poi fu il punto vincente dei team building realizzati dalle aziende olandesi per cui tenevo corsi di cucina”.

Quale insegnamento vuoi che portino con loro i tuoi studenti?

“Desidero che tornati a casa, si prendano cura di sé e delle persone a loro care, cucinando. Poi c’è il rispetto per il prodotto, della stagionalità e il recupero della frugalità tipica della cucina contadina. Per me esiste un modo per tirare fuori l’anima di un ingrediente e i menù devono essere impostati in base alla qualità dei prodotti a disposizione. Se non si trova un buon cavolo nero, è inutile cucinare una ribollita.  In più, mi piace l’idea che i miei studenti maturino la consapevolezza di quanto di ogni ingrediente sia possibile usare”.

Un esempio?

“La parte verde del porro e quella esterna del finocchio che di solito si buttano, si usano per preparare una zuppa. Si minimizzano gli scarti, proprio come era normale fare nelle cucine dei contadini”.

Luisa Carretti