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Sin dalle elementari sognava di fare lo scienziato: scorrazzando nella campagna intorno alla Sambuca, catturava le rane dai laghi e le lucertole.

Ed ora il trentaquattrenne Emanuele Leoncini si è trovato (già da due anni e mezzo) con il camice bianco in laboratorio, tra pipette e provette. Realizzando che quella era l’idea che aveva in mente da piccolo. Valore aggiunto: il contesto di una delle università più prestigiose al mondo.

Entrato da teorico nell’istituto di ricerca di Harvard, si è concentrato sugli esperimenti. Vivendo tutto ciò come il frutto di una passione. Tenacia, coraggio di rischiare, intelligenza straordinaria sono solo alcune delle qualità che lo rendono un chiantigiano all’estero… fuori dal comune.

“Quando ancora era a Porta Romana – a parlare è Emanuele – ho frequentato il Liceo Scientifico Niccolò Rodolico. E poi, sempre a Firenze, la triennale di matematica pura e la specialistica di matematica applicata”.

“Nel 2009 – dice – mi sono trasferito a Parigi. Qua ho fatto un master. Poi uno stage ad Inria (Istituto nazionale per la ricerca nell’informatica e nell’automazione). Iniziato il dottorato ad ottobre 2010, a dicembre 2013 ho difeso la tesi su un tema di modelli stocastici per la produzione di proteine”.

“Rimasto alcuni mesi nei miei laboratori di dottorato – ricorda – ho contattato vari laboratori in Europa e fatto interviste. Finché sono stato ammesso ad Harvard per il mio post dottorato. Così a maggio 2014 sono partito”.

Nella Harvard Medical School – spiega – mi occupo di ricerca in biologia di base, principalmente in batteri. Utilizzando vari approcci: dalla microscopia a fluorescenza alla microfluidica a modelli matematici. L’obiettivo è di capire meglio specifici aspetti della biologia batterica”.

“Nonostante la pressione e i duri orari di lavoro – prosegue – è davvero stimolante trovarsi alla frontiera della conoscenza. Altro aspetto che mi piace molto è l’ambiente, incontro di culture e fonte di arricchimento personale”.

“Motivati da una forte passione e caratterizzati da svariati interessi – racconta – i miei colleghi provengono quasi tutti da una nazione diversa dall’altro. Matematici, fisici, chimici, ingegneri biomedici apportano ciascuno il proprio strumento di lavoro”.

“Centro economico e culturale del New England – dice ancora – Boston è la città più europea degli Stati Uniti. Anche se ho dovuto adattarmi ad inverni rigidi, in estate il fiume è pieno di attività. Una volta l’anno torno a casa nel periodo natalizio: amo il Chianti”.

“Da un punto di vista di crescita personale – conclude Emanuele – l’esperienza parigina è stata fondamentale. Da un punto di vista lavorativo e di ricerca, quella che sto vivendo adesso è unica. In ogni caso non nego che un giorno vorrei tornare in Europa”.

Noemi Bartalesi