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Simone Mazzi, titolare di un negozio di alimentari a Panzano in Chianti, è un vero… giramondo. E’ appena tornato da suo ultimo, incredibile viaggio: il suo 135esimo Paese (visitato insieme all’inseparabile famiglia, i figli Alessandro, Laura e il suo “ragazzino” Tobia, e sua moglie Roberta) è stato nel Raja Ampat (Papua Nuova Guinea), uno sconosciuto arcipelago sperduto nell’Oceano Pacifico.

“Sono state talmente tante le emozioni e le esperienze che non so da dove cominciare – esordisce – Tutto è nato guardando in tv un documentario: parlava degli ultimi paradisi incontaminati del pianeta. E di una recente scoperta geografica: la telecamera ha indugiato su un arcipelago di isolette verdi in un mare che andava dal celeste, al turchese, al blu, al cobalto. Al largo delle coste della Papua Nuova Guinea. Alcuni biologi marini avevano studiato l’incredibile concentramento di biodiversità che popolava la barriera corallina di questo arcipelago”.

LA DECISIONE: “SI’, ANDIAMO LA’!”

“Ci si è accesa subito la lampadina – prosegue – Ho guardato sulle carte dove fosse ed ho scoperto che era una delle oltre 7.000 isole che compongono l’Indonesia, quindi relativamente “facile” ed a buon mercato da raggiungere. E’ iniziata allora (un anno e due mesi fa) la ricerca di un volo per Giacarta. Poi l’acquisto della guida e la scelta dei voli interni e delle varie tappe per arrivare a Raja Ampat. Decine di e-mail per scegliere le sistemazioni più adatte alle nostre esigenze, le barche, gli autobus, gli hotel, i parchi. Insomma un lavoro che è andato avanti per un anno e che ci ha consentito di partire con tutti i pernottamenti prenotati, tutti i voli pagati (ben 12) e stampati su carta, alcuni contatti affidabili con persone che ci avrebbero aiutato con le visite nei territori più remoti. Il tutto spendendo molto meno della metà di quello che ci avrebbero chiesto in un’agenzia dalle riviste patinate per destinazioni molto più vicine”.

“Noi non abbiamo risorse illimitate – tiene a dire Simone – e vi dico che si può viaggiare in questi luoghi spendendo quanto si spende… nei nostri mari. E’ solo questione di organizzazione e di tempo”.

UN INCREDIBILE TRAMONTO A ISTANBUL

Dopo la partenza, prima sosta a Istanbul: “Decidiamo di uscire dall’aeroporto per passare un po’ di ore in città nonostante i recenti accadimenti (fallito colpo di stato e attentati). Il centro è davvero bellissimo, pochissimi turisti in giro, bandiere turche in ogni dove, tranquillissimo, forze dell’ordine presenti ma non opprimenti. La cena in un ristorantino sulla terrazza del tetto con vista sulla moschea blu da un lato e Santa Sofia dall’altro. E, sotto, il Bosforo: non la dimenticheremo facilmente, davvero suggestiva. Parliamo con la gente, sono fieri del loro presidente, del loro Paese e di aver sventato il colpo di stato”.

DA GIACARTA… AI CONFINI DEL MONDO

Poi si riparte, con il lungo volo per Giacarta: “La capitale indonesiana non è niente di che, la classica città del sud-est asiatico strapiena di motorini, traffico, quartieri moderni, altri fatiscenti. Comunque c’è molto verde e poco smog. Partiamo subito la mattina seguente per l’arcipelago delle Molucche (Maluku) e precisamente per Kota Ambon. Un tempo teatro di violenti scontri fra cristiani e musulmani, adesso è tranquillissima. Qui inizia la parte “fuori dal mondo” del viaggio. Queste isole che hanno avuto un passato glorioso ai tempi dei commerci di spezie adesso sono totalmente fuori dal circuito turistico. Non ci sono strutture, ristoranti, hotel, occidentali in giro. Niente. L’attrazione… siamo noi!”.

“LUOGHI SENZA TURISTI: L’ATTRAZIONE… SIAMO NOI!

“Girando per le stradine del paese dove alloggiamo tutti ci salutano – prosegue Simone – ci invitano a vedere la casa, i bambini la bici, ci fotografano. In spiaggia arriva addirittura il maestro con la scolaresca a fare le foto con questi strani personaggi arrivati dall’Italia. Le spiagge sono selvagge e il mare agitato nella parte sud, la parte nord più riparata semplicemente paradisiaca: chilometri di sabbia bianca fine come borotalco, orlati da giganteschi alberi di noci moscate, chiodi di garofano e palme da cocco. Qualche bancarella che vende frutta condita con una salsa dolce a base di noccioline pestate, miele e altri aromi. Qualche bambino che gioca in acqua, qualche pescatore. Le colline ricoperte di vegetazione tropicale verdissima, barriera corallina”.

UN VIAGGIO IN BARCA AVVENTUROSO

Insomma, un paradiso terrestre: “Passiamo tre giorni nelle nostre semplici e spartane sistemazioni nel più autentico relax. Prossima tappa Papua Nuova Guinea. Arriviamo a Sorong e ci sistemiamo nell’unico albergo di standard occidentale presente in città. Questa grande isola del Pacifico ospita al suo interno popolazioni che vivono di caccia e raccolta, nudi se si eccetua un astuccio penico appeso al collo e senza elettricità. Le ultime di tutto il pianeta. Ho contattato dall’Italia un tizio che mi ha assicurato che ci avrebbe portato a Piainemo, l’arcipelago che ha dato inizio a tutto. La barca in effetti ce l’ha… un po sgangherata (anzi molto) ma ha due motori da 350 cavalli (e questo è fondamentale in caso di avaria di uno). Partiamo a notte fonda con capitano addetto ai motori (non c’è il serbatoio e quindi deve aspirare con la bocca il carburante dalle taniche), cuoco, guida e molto coraggio”.

LA BELLEZZA DI RAJA AMPAT

Ma il rischio vale…: “Quello che abbiamo visto dopo tre ore di navigazione ci ha ripagato abbondantemente di ogni disagio. L’arcipelago di Raja Ampat è un dedalo di isolotti verdeggianti in un mare di un turchese indescrivibile, sotto la superfice del mare centinaia migliaia di pesci di tutti i colori e forme, squali, mante, coralli di tutti i colori, roba che il Mar Rosso in confronto sembra la vasca dei pesci rossi del luna park. Ci immergiamo più volte in nuvole di pesci che si aprono al nostro passaggio, incredibile. I villaggi dei locali ci accolgono con ospitalità, in uno ci cucinano anche un gigantesco pescione buonissimo, meglio del cibo del nostro “chef” di bordo che comunque consumiamo in una spiaggia da cartolina”.

“Torniamo a Sorong a notte fonda – sorride Simone – completamente fradici (si è rotta l’unica porta di vetro della barca e un motore) ma estasiati da tanta bellezza. Tappa successiva l’isola di Sulawesi dove andremo a visitare l’etnia Turaja, un popolo che vive nel sud est in una ampia vallata coltivata a risaie a terrazza, frutta di ogni tipo e circondata dalle montagne ricoperte di fitta jungla”.

L’ISOLA DI SULAWESI E I SUOI INCREDIBILI FUNERALI

Simone è davvero prodigo di particolari, è un piacere ascoltarlo: “Questa popolazione ha alcune bizzarre usanze. In particolare l’intera esistenza di un uomo ruota tutta intorno al suo funerale. Questi funerali sono delle autentiche feste non stop che durano giorni e giorni. Vengono invitati, in un piazzale circondato da capanne costruite per lo scopo col bambu, tutti i parenti ed amici, ma anche i turisti di passaggio. Sono dei banchetti a base di tè, biscotti, riso ed animali cotti sul fuoco in contenitori ricavati dal bambù gigante. Si mangia con le mani. Gli animali vengono sacrificati tagliandogli la gola davanti ai commensali, in una strana atmosfera mista fra un baccanale romano e un girone dell’inferno. E non sto parlando di galline o conigli ma di paffuti maiali neri e giganteschi bufali d’acqua!”.

“I villaggi – spiega Simone – sono costituiti dalle caratteristiche capanne a forma di barca con le corna dei bufali allineate all’ingresso. Più bufali una famiglia riesce a comprare ed a sacrificare, più gente c’è al funerale, più il morto avrà una vita serena e felice nell’aldilà. Le salme vengono imbalsamate e tenute in casa anche per anni fino a che non ci saranno i soldi per comprare un numero di bufali da sacrificare (24) sufficiente ad assicurare una bambola fuori della grotta scavata nella parete rocciosa dove sarà definitivamente sepolto. Assistiamo ad un funerale dopo aver offerto al figlio del defunto una stecca di sigarette, e vi assicuro di non aver mai visto niente di simile, in tutta la mia vita”.

“Girovaghiamo per questa vallata per tre giorni davvero intensi in uno scenario fiabesco. Questo popolo, al di là delle bizzarre credenze ed usanze, è di una cordialità, gentilezza ed ospitalità disarmanti. Assistiamo anche ad un festival di cori con i costumi tipici, bellissimo. Vi racconto un ultimo aneddoto. Quando muore un bambino piccolo viene sepolto in una nicchia ricavata in un grande albero, secondo loro il bimbo continuerà a crescere con l’albero e quando la corteccia sarà rimarginata, potrà andare nell’aldilà come un adulto”.

I DRAGHI DI KOMODO

“Rifacciamo le otto ore di jungla che abbiamo fatto all’andata per raggiungere la cittadina di Makassar – il viaggio continua – dove con due brevi voli raggiungiamo la prossima tappa: il parco di Komodo. Facciamo anche una sosta a Bali, ma tralascio la descrizione perché questa, comunque molto bella isola, è ormai preda da anni del turismo di massa. Il parco di Komodo è in realtà un arcipelago di isole tutelate dall’UNESCO e disabitate, con una fauna del tutto anomala e unica al mondo. Re indiscusso è il varano gigante detto “drago di Komodo” che raggiunge i 3,5 metri di lunghezza e si nutre in quanto carnivoro degli altri animali di cui è ricco l’arcipelago: uccelli, roditori, scimmie, cervi, bufali e cavalli. Visitiamo con una barca le varie isole ed avvistiamo una ventina di varani, anche qualche maschio adulto, sempre accompagnati da un ranger armato del parco che ha un lungo bastone per stoppare i draghi che ci guardano con più appetito. Facciamo anche il bagno in una delle bellissime spiagge rosa di cui è ricco il parco. Semplicemente stupenda”.

I TEMPLI PRIMA… DEL RITORNO A CASA

“Prossima tappa l’isola di Java – conclude Simone – e i suoi incredibili templi. Qui niente “effetto solitudine”, anzi, traffico impazzito, migliaia di motorini, file di hotel, turisti da tutto il mondo. D’altrode questi magnifici ed antichissimi templi (risalgono a ben 1.200 anni fa) sono fra i siti archeologici più visitati nel pianeta. Il tempio buddista di Borobudur è un immenso percorso di bassorilievi e stupa che ricopre un’intera collina in una vallata verdissima. E’ perfettamente restaurato e molto interessante essendo il più importante tempio buddista di tutto il mondo. Il tempio indù di Prembanan è, se possibile, ancora più spettacolare con le sue enormi torri e pinnacoli. Se poi si considera che la civiltà che ha costruito queste meraviglie attraversava l’Oceano Indiano e Pacifico con le loro navi a bilancere secoli e secoli prima che Colombo “scoprisse” l’America, beh, forse non è poi tanto vero che abbiamo inventato tutto noi… . Tralascio le ultime tappe e il lungo ritorno da un viaggio che ci ricorderemo per tutta la vita, luoghi lontani, sconosciuti, affascinanti, incredibili che hanno sorpreso ed emozionato anche viaggiatori incalliti come noi”.

Matteo Pucci