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Lamole, piccolo borgo nel territorio grevigiano dove i romani furono i primi ad avviare le coltivazioni ad alta quota, si candida a paesaggio storico d’Italia.

Produttori, cittadini e Comune sostengono la candidatura che si lega ad una ricerca storica condotta dalle aziende riunite sotto l’associazione presieduta da Susanna Srassi.

La notizia arriva con il nono vino prodotto dalle otto aziende e battezzato dal sindaco Paolo Sottani in occasione dell’iniziativa “I profumi di Lamole”.

A scoprire le potenzialità produttive di Lamole e della vicina Casole furono per primi i Romani che portarono in altura le coltivazioni della vite e dell’olivo individuando nella posizione, nella perfetta esposizione ed insolazione, nelle caratteristiche di un anfiteatro naturale protetto a nord dal Monte San Michele e rivolto al mar Tirreno, il luogo ideale per le attività agricole.

Nel Medioevo, la produzione assunse un’importanza ancora maggiore tanto che Lamole venne protetta da un Castello eretto dalla famiglia fiorentina Gherardini nel 1350 e di cui rimangono ancora numerose tracce.

La sua viticoltura di qualità eseguita tradizionalmente su terrazzi, era rinomata sin dal Medioevo e venne proseguita nei secoli successivi ed ancora nell’Ottocento, Lamole infatti veniva indicata da pubblicazioni dell’epoca come una delle “culle” del Chianti di qualità. Il territorio è infatti caratterizzato da pendenza mediamente superiori al 30% e spesso oltre il 50%.

La realizzazione dei terrazzamenti consentiva di “rimettere in piano” il terreno, rendendolo coltivabile, e particolare importanza rivestivano le sistemazioni idrauliche, in modo da limitare l’erosione superficiale.

Si costruivano delle fosse, larghe e profonde un metro, disponendo sul fondo dei sassi per formare una fogna (detta “la gattaiola”, poiché sembra che il collaudo si facesse facendosi passare attraverso un gatto); sopra alla fogna si disponevano ancora sassi con dimensioni decrescenti risalendo verso la superficie, infine si metteva la terra.

Se i sassi avanzavano si suddivideva l’appezzamento avvicinando i muri fra loro e creando terrazze con larghezza di pochi metri; lingue di terra, piccole lame, in latino “lamulae”, da cui probabilmente deriva il nome del luogo.