A Panzano in Chianti, tra le colline che segnano il confine ideale tra le province di Firenze e Siena, sorge un’azienda agricola che sembra uscita da un racconto: il Molino di Grace.
Il nome deriva da un antico mulino a vento del XIX secolo che ancora svetta accanto alla cantina e dal fondatore, Frank Grace, imprenditore americano con la passione per l’arte e il vino, oggi rappresentato in azienda dal figlio, Daniel Grace.
Un progetto nato negli anni ’90, cresciuto in modo rispettoso, biologico, con uno stile internazionale ma profondamente radicato nel territorio.
Frank Grace, imprenditore americano, più precisamente nel 1995 decide di piantare radici in Toscana assieme alla moglie Judy, trasformando dei terreni allora destinati solo alla vendita di uva in una delle aziende vitivinicole più interessanti dell’area.
Oggi a guidare il Molino di Grace insieme al figlio Daniel nella gestione quotidiana c’è Iacopo Morganti, amministratore delegato, e Giada Cavigli, responsabile vendite. Insieme rappresentano un equilibrio raro tra visione internazionale e profonda conoscenza del territorio.
“Quando Frank arrivò qui, non esisteva un’azienda strutturata – racconta Giada – C’erano le vigne, certo, ma nulla che potesse permettere la produzione in loco. Il suo primo obiettivo fu quello di costruire una cantina, ma con rispetto assoluto per il contesto: ha mantenuto i filari storici di Sangiovese, eliminato le varietà non autoctone e costruito tutto in modo sostenibile. L’azienda è biologica da tempo, certificata dal 2014, ma l’impegno verso l’ambiente è iniziato molto prima”.
Il Molino di Grace si estende oggi per 45 ettari (di cui 41 di proprietà), in un’area che ha fatto del biologico un’identità condivisa. Panzano è infatti il primo biodistretto vitivinicolo della Toscana, un laboratorio a cielo aperto per chi crede in una viticoltura pulita e rispettosa.
“Lavorare in biologico significa osservare ogni giorno la vigna, adattarsi al meteo, tagliare l’erba a mano, usare solo rame e zolfo, evitare diserbanti e trattamenti sistemici”, spiega Iacopo.
“È un lavoro che richiede più persone, più tempo e più attenzione – sottolinea – Ma quando vedi il risultato nel bicchiere, capisci che ne vale la pena”.
L’azienda produce tra le 130.000 e le 150.000 bottiglie l’anno, quasi interamente a base di Sangiovese.
Il rapporto con il consulente enologo Franco Bernabei ha dato vita a vini dal carattere deciso, eleganti ma senza concessioni.
Tra questi spiccano il Chianti Classico Gran Selezione “Il Margone”, 100% Sangiovese; il “Gratius”, IGT Toscano che viene da una sola vigna, con 90% Sangiovese 5% Colorino 5% Canaiolo. Più che un SuperTuscan è un… SuperChianti.
Ma non è solo il vino a rendere speciale questa realtà.
L’azienda è un vero museo diffuso, dove tra i filari e nei pressi della cantina si incontrano sculture, opere d’arte contemporanea e installazioni.
Alcune sono state acquistate da artisti internazionali, altre – come la statua di San Francesco tra il Sole e la Luna, realizzata da Sandro Granucci – sono state commissionate direttamente da Frank Grace, in occasione del 45esimo anniversario di matrimonio.
“Il legame tra vino e arte è qualcosa che viviamo ogni giorno – prosegue Giada – Non è solo estetica: è un modo di restituire bellezza al territorio e di raccontare la nostra storia con altri linguaggi”.
E il racconto è parte fondamentale del lavoro, soprattutto oggi che il vino non si sceglie più solo per il gusto, ma per quello che rappresenta.
“Chi arriva qui spesso non conosce la nostra storia, ma se ne innamora – dice Iacopo – Il contesto, l’autenticità, la cura: tutto parla. E anche sui mercati esteri il valore del racconto è centrale. Soprattutto nei Paesi nordici, in Canada, negli Stati Uniti – che sono il nostro mercato principale – il biologico viene capito, apprezzato e ricercato”.
A rendere ancora più riconoscibile l’azienda è il logo: due uomini che portano un enorme grappolo d’uva.
È ispirato a un passaggio biblico – gli esploratori inviati da Mosè nella Terra Promessa – e fu trasformato in scultura, e poi in marchio, per esprimere esattamente ciò che il Molino di Grace vuole essere: un ritorno alla terra, una promessa di autenticità, una visione condivisa.
“Abbiamo clienti affezionati che tornano anno dopo anno per vedere come è cambiata la vigna, per fare foto con le opere, per degustare in terrazza – conclude Giada – È questo che ci motiva: sapere che ogni bottiglia racconta non solo il lavoro in vigna, ma anche un’idea di bellezza e rispetto”.
Un impegno costante, quello del Molino di Grace, che non si limita alla produzione di qualità ma si estende alla salvaguardia del territorio.
Attraverso la collaborazione con l’Unione Viticoltori di Panzano, l’azienda partecipa attivamente alla promozione di un Chianti Classico biologico, autentico e sostenibile.
Una sfida quotidiana, che unisce rigore produttivo e responsabilità ambientale, nel segno di un equilibrio possibile tra eccellenza e rispetto.
Tutto avviene all’interno dell’azienda: dalla vinificazione all’imbottigliamento, fino all’etichettatura, grazie a una struttura completamente autonoma che consente al team di seguire ogni fase del processo con precisione e cura artigianale.
Durante la nostra visita, siamo stati accolti con grande disponibilità: ci è stato mostrato ogni angolo della cantina, raccontata la storia dietro ogni etichetta, e naturalmente assaggiati i vini, tra cui una piccola sorpresa.
Nel 2024, infatti, quasi per gioco, è nato anche un rosato: una novità che si affianca alla produzione più tradizionale e che dimostra la capacità del Molino di Grace di restare fedele a sé stesso senza rinunciare alla sperimentazione.
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