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Una volta il sapore della merenda era quello del pane con zucchero e vino, o col prosciutto salato affettato a mano. O del panino burro e acciughe.

Durante l’estate due fette col pomodoro stropicciato. E quanto era buona la fettunta quando era stagione dell’olio novo, che pizzicava per circa un mese prima di ingentilirsi.

PanePomodoro1

Insomma, cambiava solo il “companatico”: erano sempre due grandi fette di pane sciocco, non troppo alte altrimenti si faceva fatica a morderle, unite a panino e avvolte in un tovagliolo di cotone per pulirsi la bocca e le mani.

Che bontà! Durante la buona stagione i pomeriggi passavano nei prati a rincorrere un pallone, in sella a una scassata bicicletta col sedile alzato al massimo – e che fatica fra i continui saliscendi delle colline – o in riva al fiume con la canna da pesca e la lenza sempre incagliata sotto qualche pigna.

Ero un bambino piuttosto solitario e uscivo sempre con il mio amico, un tipo un po’ scontroso con cui passavo gran parte del mio tempo.

Non avevo mai troppa fame, a differenza sua, e questo dannava mia nonna che pretendeva di alimentarmi costantemente e mai e poi mai avrebbe permesso che saltassi la merenda: arrivava a rincorrermi – e lo ha fatto fino all’ultimo inerpicandosi su collinette, declinando col suo bastone verso il fiume fra i ciottoli e i rovi, interrompendo accanite partite di pallone – per portarmi inesorabilmente ogni giorno, alle quattro in punto, la merenda.

PaneburroacciugheInsieme alla merenda, una spugna imbevuta d’acqua e sapone con cui mi puliva le ginocchia, annerite e “sbucciate” per le cadute o per le mie arrampicate: del resto caracollavo dinoccolato con le mie gambe spigolose e lunghe e inciampavo dappertutto.

Quella merenda era pensata per me ma poi chi davvero la bramava e la mangiava con pochi ferini vigorosi bocconi era il mio amico, a cui la cedevo ben volentieri, stando ben attento a non farmi vedere.

La merenda della mia nonna, il rito di quella pausa di gusto che imbrigliava per un attimo le nostre scorribande, ci ha entrambi addomesticati, abituandoci a un gesto d’affetto ogni giorno ripetuto, a una consuetudine d’amore di cui ci si accorge della mancanza solo quando poi non c’è più.

Ci ha resi complici l’un l’altro e meno diffidenti della vita e anche più aperti al prossimo, malgrado i caratteri schivi e ombrosi che non a caso ci avevano fatto avvicinare fin da bambini.

Oggi siamo cresciuti, ognuno con la propria vita: io per lavoro sono spesso fuori casa, lui insegna, e la merenda dell’età adulta è diventata la sosta conviviale, l’aperitivo prima di cena, due chiacchere accompagnate da cibo e vino a invogliarle, lo stesso rito con abiti ora adulti che abbiamo voluto perpetrare anche da grandi.

pane e olioIn Toscana si usa ancora fare merenda, e questa usanza guarda a quel passato di pane sciocco, confidenza e spensieratezza. Ci si ritrova fra amici.

Spesso ci mettiamo a sedere per gustarsi al meglio il sapore di una chiacchierata, con un calice di vino, appetitosi taglieri di salumi, formaggi e creative bruschette, panini d’autore e schiacciate farcite.

E la merenda diventa cena. La bellezza della nostra terra è parte dell’esperienza, soprattutto nel caso di un aperitivo goduto all’aperto, con la buona stagione.

Infatti, così come lo era da piccoli, quando ci si spartiva di fretta un buon panino prima di tornare al gioco, anche la merenda dei grandi rimane essenzialmente un’occasione per astrarsi dai problemi della giornata di lavoro, correre un po’ meno – ai tempi curiosi dietro le scoperte della vita, adesso stanchi fra le mille contingenze della nostra quotidianità – e rilassarsi fra gli amici che contano davvero.

Francesco Sorelli – Il Bisarno Oltre la Sieve

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