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Una voce autorevole, che arriva da oltre oceano, e che spinge il Chianti Classico verso la “zonazione”, verso la differenziazione dei vini in base alle aree di produzione, ai comuni, alle zone all’interno dei comuni stessi.

A “Terra Vocata”, la manifestazione organizzata dai viticoltori del Classico Berardenga venerdì 27 ottobre alla Certosa di Pontignano, Monica Larner, giornalista e responsabile italiana di Wine Advocate e robertparker.com, ha espresso un punto di vista chiaro e senza equivoci.

“Io guardo al Chianti Classico come un libro – ha spiegato – e ogni comune per me è un capitolo: a San Casciano c’è una sensazione di apertura e di vicinanza a Firenze; a Greve in Chianti sento un fattore quasi selvaggio; a Tavarnelle e Barberino, Poggibonsi, vedo la spina dorsale con un forte potere di produzione e la base del Sangiovese; a Castellina trovo vini dal profilo classico; a Radda sono affascinata dalle altitudini, dalla freschezza, dall’acidità, dai vini longevi; a Gaiole in Chianti c’è la tradizione, torno indietro nel tempo; a Castelnuovo Berardenga c’è questa apertura di luce, di spazi, sembra quasi un vino più luminoso”.

Dagli Stati Uniti arriva quindi un contributo molto importante a un percorso che è ancora in fase di costruzione. Fra chi vorrebbe le sottozone subito in pista e chi ha ancora molti dubbi: “Il Chianti Classico – ha proseguito Monica Larner – offre una delle espressioni di territorio più interessanti da raccontare ai nostri lettori, anche perché si tratta di produttori in continua evoluzione”.

CONVEGNO – Leonardo Bellaccini, enologo di San Felice. Nella foto in alto Monica Larner

Fra le cinque caratteristiche base che Larner indica nei vini da… 100 punti di Robert Parker c’è infatti l’essere una riflessione diretta del loro territorio di produzione.

“Il vino -ha concluso – deve parlarci di dove è nato. Abbiamo bisogno di nuovi modi di raccontare il territorio: le sottozone sono uno strumento per vendere il vino, per raccontarlo e per “ingaggiare” sempre di più il consumatore a livello intellettuale”.

Matteo Pucci

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