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Fabio Zacchei ha 47 anni, un’esuberanza trascinante, una passione per il suo lavoro senza confini. Ci accoglie nel suo nuovo spazio, realizzato da alcuni mesi (e già in fase di ampliamento) a Monti in Chianti.

Fabio è un fabbro, un “bullettaio” come si usa dire da queste parti. Un artigiano, un artista, un imprenditore. E’ lui l’autore del gallo in ferro che rappresenta Gaiole in Chianti nel mondo. E la sua è una storia affascinante.

Scendiamo in paese arrivando dal Castello di Brolio: qui il panorama è quasi commovente. Dietro le vigne spunta il campanile della chiesa in cui si firmarono i primi patti fra fiorentini e senesi. Alzi lo sguardo e vedi vigneti, oliveti. E là, in fondo, il Monte Amiata.

In azienda ci sono Franco, storico aiutante e “richiamato” dalla pensione. E Giovanni, della famiglia dei Bernabei di Fonterutoli, un altro nome storico del ferro nel Chianti senese: e che da alcuni mesi ha unito la sua passione e la sua sapienza con quella di Fabio.

Fabio arriva con il camion in una nuvola di polvere ed entusiasmo. Stretta di mano di quelle forti, sorriso aperto. Inizia a raccontarci: “Sono di Castelnuovo Berardenga. Ho iniziato a fare questo mestiere aiutando il mio babbo, Mario, nell’azienda di famiglia a 18 anni. Siamo “bullettai” da tre generazioni”.

I fabbri qua li chiamavano “bullettai” perché facevano i chiodi: per i ferri di cavallo, per le staccionate, per le traversine dei treni: “Pensa – riprende Fabio – che a Castelnuovo c’erano 50 famiglie che facevano questo mestiere. Si sono fatte la guerra e oggi… non ne è rimasta neanche una”.

Per 12 anni ha cercato di ampliare e rendere più moderno il luogo di lavoro storico, a Castelnuovo. Poi, visto che non riusciva a sfondare, a Monti in Chianti ha trovato il capannone di un falegname. E lo ha fatto diventare casa sua: “Ho ancora il vecchio spazio a Castelnuovo, dove vorrei fare un’area espositiva, non voglio farlo morire, lì c’è la storia della mia famiglia”.

I nuovi spazi sono più funzionali, ma Fabio è già oltre. E ci porta sul retro per farci vedere cosa sta realizzando: “Amplierò il capannone, in modo da dividere la parte industriale, dove facciamo lavori di ogni tipo, dal cancellino agli infissi, da quella destinata al settore artistico”.

Qui, dietro a una maestosa quercia, vuole realizzare una serra in ferro stile Luigi XVI, “per farla diventare luogo di ritrovo, di confronti, di dibattito. Ho un sogno per questo spazio, magari ampliandolo al terreno agricolo qui di fronte, dove vedo già piazzate le opere con Brolio e Cacchiano sullo sfondo. La gente verrà a vederle”.

Sembra di vedere “L’uomo dei Sogni”, in cui Kevin Kostner buttà giù mezzo campo di mais per costruire un campo di baseball dove torneranno a giocare i nomi storici del passato. E la gente farà la fila per vederli.

Dentro al capannone troneggia il drago in ferro, costruito nel 2007 per un concorso (vinto). Ma nella mente di molti invece a troneggiare è il gallo in ferro alto oltre tre metri.

“L’avevo fatto – ci racconta Fabio – per ProgettArte, una manifestazione nata con l’idea di mettere in ogni via di Gaiole un’opera d’arte, per dare visibilità alla manualità delle persone, portando movimento al paese”.

“Feci il gallo – ricorda – perché mi venne in mente per il suo legame con il territorio: a me poi le cose piccole non piacciono e… lo feci enorme. Lo avrei fatto anche più grosso, ma allora gli spazio a Castelnuovo non me lo permetteva. Alla fine della mostra i cittadini fecero addirittura una petizione per acquistarlo, ma non era possibile. Ma venne fuori una mecenate che lo acquistò e lo donò, per sempre, alla popolazione di Gaiole in Chianti”.

Mentre parliamo Fabio ci mostra sul Mac in ufficio i suoi tantissimi lavori. Che si intrecciano agli aneddoti: “Lo vedi questo cancello? E’ di un castello in Svizzera. Ero giovanissimo, presi questo lavoro con un’incoscienza totale: andavo a prendere la misura con i fogli di carta gialla da macellai, con una golf Gti targata Roma che attirava le attenzioni… della polizia, che mi fermava sempre. Erano sei porte, un lavoro impressionante in termini di materiale e logistica: avrei potuto rovinarmi per sempre, andò tutto bene”.

Poi ci mostra la croce sul Duomo di Siena: “E’ del Bernini, del 1600. Quando mi chiamarono per rifarla andai a prendere l’originale e me la portati via sulle spalle. Mi guardavano… increduli”.

E’ un fiume in piena Fabio, i racconti si intrecciano inestricabili alla voglia di futuro. Scorrono i lavori (“almeno due ogni anno donati alla gente del Chianti”), fra ispirazioni di Picasso e Gaudì: “Io sono del segno del toro – torna a guardare alla sua nuova casa – e voglio stare con i piedi per terra. Voglio che questo posto diventi un punto di riferimento in cui vengano tante persone”.

Ci salutiamo, dandoci appuntamento a quando avrà finito i lavori: “E pensa – ci dice mentre usciamo – che sono completamente autodidatta. Un disegno riesco ad averlo in testa e tradurlo nel ferro, mi rimane difficile metterlo su carta. Del resto la mia è una storia d’amore… per il ferro”.

Matteo Pucci

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