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Il pane è forse l’alimento più intimamente connesso con l’uomo e la sua evoluzione.

Ancora oggi si discute sulla scintilla, del passaggio evolutivo – cardinale quanto il linguaggio, la ruota e la padronanza del fuoco – che indirizzò l’uomo a scoprire la magia della lievitazione, quel processo fermentativo che porta un impasto di farina di un cereale e acqua a elevarsi, grazie al lavoro di lieviti e alla cottura, nella meraviglia di una forma croccante fuori, profumata e soffice dentro.

Il pane di oggi mangiato in Toscana affiora da queste radici ma ha assunto caratteri propri e ben definiti: oggi quando si sente parlare di pane “sciocco” si pensa immediatamente a Firenze e al suo delizioso pane senza sale.

Il sale è sempre stato un elemento prezioso e fondamentale per conservare e insaporire. Per la sua distribuzione sono state costruite imponenti assi viarie come la Via Salaria e le paghe erano gruzzoli di sale: il salario.

Addirittura durante il Medioevo Firenze ne venne privata per un dispetto dei pisani, che bloccarono al loro porto per un lungo periodo le navi di sale dando via alla proverbiale rivalità fra le due città.

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Quindi ci si industriò – soprattutto fra i ceti meno abbienti, grazie al genio creativo della civiltà contadina che dal poco ha sempre creato il tanto – a fare il pane con quel che si aveva: grano, acqua, lievito e poco, o punto, sale.

La classica ruota di pane bianco toscano ha avuto la sua forte affermazione solo nel Secondo Dopoguerra, quando ha rappresentato una volontà da parte dei nostri nonni di portare a tavola un pane a loro vedere da “ricchi”, fatto con farina raffinata di grano frumento, che facesse loro dimenticare i pani integrali, parzialmente lievitati, che mangiavano per sfamarsi durante gli anni bui della guerra e dei razionamenti.

Un’altra peculiarità del pane sciocco toscano è sempre stata la sua capacità di porsi al centro della tavola ad accompagnare il companatico (“non ci si sfama senza pane”): sciocco, neutro, buono sia fresco ma anche di qualche giorno, il pane toscano va su tutto ed è perfetto per la saporitissima cucina toscana.

 

E non si poteva buttarlo via (“a buttarlo via si fa peccato”): il pane indurito, avanzato, era infatti la base essenziale per quelli che oggi sono salutati come i più grandi classici della cucina popolare fiorentina.

La pappa al pomodoro o la panzanella con la buona stagione, la ribollita durante l’inverno, dopo la prima “diacciata” del cavolo nero, ma anche impasti di carne e ingredienti poveri come polpette o polpettone durante tutto l’anno, sono solo alcuni dei più classici piatti impostati sul pane sciocco: gustosi, semplici, economici e dall’inconfondibile sapore della Toscana più autentica.

Francesco Sorelli – Il Bisarno Oltre la SieveFoto di Sandra Pilacchi

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