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Dolce, o meglio, pane tipico fiorentino (molto diffuso anche in territorio chiantigiano), il “Pan di Ramerino” nasce nel Medioevo.

E caratterizza la giornata del Giovedì Santo, il giovedì prima di Pasqua. Con la sua fragranza unica, fatta di contrasti perfetti.

Prodotto devozionale, ogni sapore che lo compone è legato ad un significato simbolico.

Emblema dell’immortalità dell’anima, nell’età di mezzo si riteneva che il rosmarino allontanasse gli spiriti malvagi.

Mentre l’uva e il grano, metafora della vita, rappresentano la comunione.

 

Del resto il taglio a croce, praticato per favorire la lievitazione, lascia immaginare il nesso stretto tra la religione e questa pagnottella dorata, oggi consumata da una fascia medio alta, ma certo non disdegnata dai giovani, una volta assaggiata.

Conosciuto come “Pan di Ramerino”, con quest’espressione si fa riferimento al rosmarino, pianta che si trova in abbondanza sulle nostre colline. Altro nome, che richiama il tipo di uva impiegata nella vecchia ricetta, è panino con lo zibibbo.

Ce l’eravamo fatto raccontare, prima che passasse il “testimone” del forno, da Stefano Panti, ai tempi proprietario del panificio in piazza Matteotti, a Tavarnelle.

“Già il mio babbo lo faceva – ci aveva detto  – quando ancora l’attività era nel vecchio forno di “Bati”, in via Roma”.

“Il giovedì di Pasqua – aveva proseguito – il treccone “Nocchio” passava con la cesta piena e gridava: “E’ arrivato il pan di ramerino: son tutto zibibbo e olio, perdono l’unto”, riferendosi ai tempi allora duri”.

 

“Prima solo in tempo di Quaresima – ci aveva raccontato – si vendeva anche alle chiese: veniva benedetto e dato ai fedeli in cambio dell’offerta. Molto richiesto, dagli anni Ottanta si prepara tutto l’anno, tranne ad agosto e settembre, mesi della schiacciata con l’uva”.

“Uno degli ingredienti principali è cambiato – aveva spiegato ancora il fornaio – All’inizio si usava l’uva del posto, poi lo zibibbo, con i semi, e ora quella cilena. Pur lavorandolo con le macchine, non più a mano, l’impasto è rimasto lo stesso”.

“A pasta di pane, zucchero, farina, sale e lievito di birra – aveva concluso Stefano – si unisce un soffritto di olio e rosmarino. Solo alla fine si aggiunge l’uva. Per un risultato dal gusto non troppo dolce, antico. Dei nonni”.

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