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Un ricordo che sbiadisce, ma che in molti rimane vivo e presente: è quello dell’achsciarà di Ricavo, podere mezzadrile situato lungo la strada provinciale che da Castellina conduce a San Donato in Poggio.

E’ in quel luogo che, tra il 1934 e il 1938, hanno vissuto circa duecento giovani ebrei provenienti da tutta Europa, in particolare da quei paesi dove erano già in vigore le leggi razziali, sia per sfuggire alle persecuzioni naziste sia per partecipare a una vera e propria esperienza di formazione professionale (achsciarà) promossa dalla Federazione Sionistica Italiana nel quadro dell’operato delle organizzazioni internazionali Bahad e Hechaluz.

Attraverso un contatto diretto con i mezzadri del luogo e un’organizzazione del lavoro quotidiana e sistematica, ai giovani chaluzim veniva insegnato il mestiere del contadino in prospettiva della futura colonizzazione della Palestina.

Il territorio chiantigiano, sassoso e arido, con le sue coltivazioni principali di viti e olivi su terrazzamenti a secco presentava, infatti, caratteristiche molto simili alle condizioni pedologiche della Palestina, dove era già iniziata l’azione pionieristica dei kibbuzim e dei mosciavin.

Fu a seguito di un semplice annuncio di giornale che l’allora proprietario della fattoria, un marchese fiorentino, decise di mettere a reddito una gran parte dei suoi locali con l’ospitalità di questi giovani: i rapporti di lavoro erano regolati da formale contratto e prevedevano che i chaluzim lavorassero, di fatto, gratuitamente per la produzione della fattoria in cambio dell’ospitalità e dell’apprendimento professionale.

La direzione del “Centro di addestramento agricolo di Ricavo” fu affidata a Benno Offenburg che, il 18 aprile 1934, accolse i primi diciotto giovani giunti con regolare permesso di soggiorno e il beneplacito delle autorità locali e di governo.

A livello nazionale, infatti, erano ancora gli anni nei quali Mussolini e il fascismo vedevano nel sionismo una possibile pedina per le proprie mire espansionistiche nel Mediterraneo orientale e verso l’Africa.

Di riflesso, erano ottimi i rapporti anche a livello locale, come scrisse in una lettera il 30 aprile 1934 Mario Ottolenghi, uno degli organizzatori dell’achsciarà: “Dai contadini e dai paesani del luogo è stata riservata ai nostri giovani la migliore accoglienza e, in generale, incontrano simpatia presso tutti coloro con i quali vengono a contatto. Anche con le autorità locali abbiamo stabilito rapporti cordiali e simpatici. Alcuni giorni prima dell’arrivo dei giovani mi sono recato a fare una visita di omaggio al parroco e al segretario del Fascio di Castellina in Chianti, dando loro avviso e informazione di quanto si andava a cominciare”.

Dopo il periodo di apprendistato, che durava alcuni mesi, la meta era Trieste, dove i giovani si imbarcavano sulle navi in rotta verso il Mediterraneo orientale una volta ottenuti i permessi di immigrazione dal governo britannico che esercitava il mandato sulla Palestina.

Ma i permessi venivano concessi con oculatezza e così molti chaluzim di Ricavo ricorsero a un escamotage attraverso l’istituto del matrimonio: sposandosi, infatti, un solo certificato dava la possibilità di partire a entrambi i membri della coppia.

Pratica che trova riscontro anche nell’archivio storico di Castellina, dove sono riportate le trascrizioni di numerosi matrimoni, spesso concentrati in poche ore, tra gli chaluzim di Ricavo: per alcuni di loro, l’inizio di un vero legame affettivo e familiare; per altri, soltanto uno strumento fittizio e funzionale all’emigrazione in terra di Palestina.

Sappiamo anche che, tra i tanti destini personali, tra coloro che ce l’hanno fatta e chi, nell’attesa dei permessi, è stato invece risucchiato dalla violenza delle persecuzioni nazifasciste e dei campi di concentramento, alcuni dei giovani di Ricavo furono accolti nei kibbuzim Beerot Izchak e Yavne e nei centri abitati di Petach Tikvà, Pardes Hanna, Kfar Pines e Kfar Yabez.

Quanto all’achsciarà, nel 1938, con la promulgazione delle leggi razziali anche in Italia, dovette evidentemente chiudere; a conferma dei buoni rapporti che erano sempre intercorsi con le autorità locali, secondo fonti ufficiose la Prefettura di Siena, anziché meditare un rastrellamento, decise addirittura di concedere alcuni giorni di tempo agli ultimi chaluzim per poter abbandonare la fattoria.

E’ grazie soprattutto a Paola Giovanna Morelli e Vittorio Haiim Luzzatti se oggi conosciamo tutto questo: attraverso il loro minuzioso lavoro di ricostruzione storica che, oltre dieci anni fa, ha permesso di riportare alla luce una vicenda dal profondo valore umano che lega le grandi dinamiche della Storia con  il vissuto quotidiano di un ameno podere chiantigiano e della sua comunità, e che ha trovato espressione nella mostra fotografica “Un raggio di luce prima delle tenebre”, ospitata nel 2004 all’Istituto italiano di Cultura di Haifa e, nel 2014, al Museo archeologico del Chianti senese.

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