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Il massimo sarebbe visitare il Vallone di Cecione in primavera, nel momento della fioritura della semina nei filari: profumi e colori eccezionali, che rendono ancor di più paradisiaco quest’angolo della Conca d’Oro a Panzano in Chianti.

E’ qui che Francesco Anichini gestisce l’azienda di famiglia con la collaborazione dei genitori (Giuliano e Anna, una loro foto scattata nel 1975 e diventata etichetta del vino). Seguito dall’agronomo Adriano Zago, Francesco ha sposato con grande convinzione la filiera del biologico e del biodinamico.

“I miei clienti tipo? Persone interessate  a un vino “familiare” – spiega – Si tratta di selezionare le rassegne più adatte. Ci sono Paesi più ricettivi? Svizzera, Germania, adesso alcune zone delle metropoli americane. Di sicuro oggi maggiore attenzione all’argomento del biologico e della genuinità”.

La famiglia Anichini ha il vino nel Dna: “Noi veniamo da oltre 100 anni di produzione di vino a livello di famiglia paterna – racconta Francesco – prima nella zona del senese, vicino a Castelnuovo Berardenga, come mezzadri. Dal 1961 qui a Cecione: per tantissimi anni il percorso è sempre stato di rispetto per l’ambiente, cercando di proporre un vino genuino, senza che i campi fossero diserbati o trattati con concimi chimici. Nel 2001 sono entrato in azienda e fino al 2003-2004 abbiamo proseguito a vendere il vino in partita. Dopo qualche anno di apprendistato ho cercato di valorizzare tutto il lavoro che facciamo, andando a confrontarci sul mercato e rendendo riconoscibile la storia della nostra famiglia che da un secolo fa vino”.

La prima annata imbottigliata è stata quella del 2004: Francesco ha curato tutto, fino all’etichetta, che riporta una splendida foto del 1975 con mamma e papà che risalgono la vigna. L’azienda si estende su otto ettari, con circa 4 ettari di vigneto e 700 piante olivo.

“La scelta – prosegue Francesco – è stata quella del biologico, ma seguo anche la filosofia biodinamica: dal punto di vista pratico si tratta di rendere più ricettivo e fertile il terreno dinamizzando il letame (con il preparato E500), spargendo la silice dinamizzata sulla parte fogliare all’alba (con il preparato E501). In questo modo c’è una forte interazione fra la luce solare e la foglia, si catalizza la fotosintesi clorofilliana. Faccio queste cose da due-tre anni e mi sono accorto di avere vigneti sani, che non vengono colpiti dalle malattie. E’ chiaro che anche la stagione e il clima hanno un peso fondamentale”.

Poi c’è la cosiddetta semina dei vigneti, ovvero della parte centrale. Francesco ce la racconta con passione trasporto: “Ogni anno la faccio con erbe diverse, insieme al mio agronomo. Seminiamo a filari alterni un mix di erbe che rilasciano sostanze organiche (rucola, favetta, senape, rafano, piselli) e altre che invece hanno un effetto di riduzione energetica e rinfrescano il suolo (ad esempio l’orzo), ridando vita al sottosuolo”.

Ci crede molto Francesco nella strada del biologico e del biodinamico. Ammette onestamente che “essere biologici qui è bello e anche facile. Siamo alti, esposizione sud est, siamo nella Conca d’Oro (il nome dice tutto)”.

Ma non gli basta: “Utilizziamo sempre meno rame e meno zolfo possibile: da qualche anno, anche grazie al clima, sto riuscendo a farlo con grande soddisfazione. Ad esempio il limite previsto dal disciplinare biologico per il rame è di 6 kg a ettaro/anno; io riesco ad andare poco oltre il kg/anno. La differenza quantitativa la copro con tanti altri prodotti naturali: propoli, infusi di ortica, di camomilla, macerati di alghe.  Andando in questa direzione secondo me si va a scoprirlo davvero il territorio. Bisogna tornarci, viverlo appieno. Noi di ogni metro quadro di terreno sappiamo tutto”.

Poi c’è il passaggio in cantina: “Anche lì – ci spiega Francesco – siamo arrivati al punto di non utilizzare più i lieviti, di non fare più nessuna aggiunta. Dopo la fase di studio sono arrivato ad avere un vino che, se non fosse per i solfiti (del 60-70% più bassi comunque rispetto alla dose consentita dal Consorzio Vino Chianti Classico, n.d.r.), potrebbe considerarsi biodinamico al 100%. Ed è così che, secondo me,  il vino rispecchia l’annata, il clima, il territorio”.

Fra i suoi prodotti, Chianti Classico Docg “Vallone di Cecione”; un Canaiolo in purezza; un Rosato da uve Sangiovese chiamato “Allegra” (ispirato alla figlia); l’Igt “Campo dell’Orzo”; olio extravergine oliva; grappa “Vallone di Cecione”

“Io seguo questa strada – conclude – Per qualche anno, ero anche più giovane, pensavo di dover fare un vino da sommelier, da premio. Sinceramente adesso non ce ne importa niente. Io cerco di mettere in bottiglia il territorio vero. Il complimento più bello è quello che mi fa una persona che mi dice di aver bevuto quasi una bottiglia con grande soddisfazione, e di essersi alzata senza nessun problema la mattina dopo.  L’unica strada percorribile è questa qui, anche da un punto di vista commerciale. Il vino deve essere fatto… per essere bevuto”.

Matteo Pucci