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Sabato 24 settembre a Firenze si celebrano i 300 anni dalla pubblicazione del Bando di Cosimo III de’ Medici, con il quale si delimitavano le zone di produzione del Chianti (oggi Chianti Classico), del Pomino, del Valdarno di Sopra e del Carmignano.  Quattro territori che possono vantare un importante riconoscimento storico che testimonia e rafforza la loro vocazione per la produzione di vini di grande qualità.

Nello storico Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio si è tenuto un convegno centrato sulla storia di questi vini dai tempi di Cosimo III ad oggi.

Ad aprire i lavori il professor Zeffiro Ciuffoletti dell’Accademia dei Georgofili con un breve excursus storico  dal titolo “Terre, Uve e Vini di Toscana. A tre secoli dai bandi di Cosimo III de’ Medici”.

Ha fatto seguito un dibattito sui  “300 anni di vino toscano nel mondo” a cui sono intervenuti i presidenti dei quattro Consorzi oggetto del Bando granducale, addetti ai lavori, opinion leader ed esperti nazionali e internazionali del settore. A condurre il dibattito, Nicola Porro, noto giornalista e personaggio televisivo.

Per celebrare questa importante ricorrenza le zone coinvolte hanno in programma una ricca serie di eventi che coprirà tutta la stagione autunnale ed invernale fino al 2017. Musica, teatro, sport, gastronomia e ovviamente degustazioni di vini di annate che arriveranno, per quanto possibile, molto indietro nel tempo.

Tutte le iniziative, caratterizzate dal logo creato appositamente per la ricorrenza, metteranno in grande evidenza le date ai vertici del tricentenario: 1716 – 2016 “I 300 anni del primo territorio di vino”.

Il bando di Cosimo III costituisce il primo esempio di delimitazione di zona di origine dei vini in Italia in chiave moderna, e trae origine da una lunga serie di esperienze commerciali che avevano ormai consolidato il valore qualitativo dei prodotti enologici di quei territori.

Nello stesso periodo storico in ambito europeo si gettano le fondamenta per la nascita di denominazioni destinate a posizionarsi ai vertici dell’enologia mondiale. A Bordeaux si sta consolidando, con già un centinaio di anni di operatività,  l’istituto dei Courtiers che nel 1855 sarà chiamato da Napoleone III a stilare la Classificazione Ufficiale dei Vini di Bordeaux tuttora in vigore.

Lo Champagne, disprezzato dai francesi come vino difettoso, sta muovendo i primi passi nell’Olimpo dei grandi vini, grazie anche a figure come Dom Perignon che muore proprio nel 1715. In Germania la viticoltura si sta riprendendo dall’offuscamento dovuto alla guerra dei trent’anni.

In Italia nel 1700 si producono vini ovunque, ma le zone che possono vantare riconoscimenti qualitativi superiori, dimostrati anche dalla capacità di esportazione, sono limitate. Per la Toscana di Cosimo III il vino era già un prodotto strategico, basti pensare che la regina Anna di Inghilterra lo apprezzava a tal punto da farne dono ad amici e alleati, contribuendo a far conoscere il vino toscano nel mondo.

La Toscana vantava, già a quel tempo, quattro zone con uno stile di vino ben definito e reso personale dal terroir, ovvero dalle particolari caratteristiche climatiche, dal suolo, ma anche dalla storia e dall’intervento dell’uomo.

Un Chianti (poi diventato Chianti Classico), che nasce in zone collinari con terreni dalle caratteristiche uniche e con uve particolarmente adatte a queste condizioni.

Un Pomino-Rufina, che trae dall’introduzione di vitigni francesi compiuta da Vittorio degli Albizi e dall’altitudine dei vigneti le proprie caratteristiche di eleganza e freschezza.

Un Val d’Arno di Sopra dove la maturazione delle uve ed il loro stato sanitario sono favoriti dall’esposizione, dai suoli e dalle correnti d’aria rinfrescanti indotte dal fiume Arno.

Un Carmignano, infine, che vede l’impiego, primo in Italia, del cabernet importato come “uva francesca” da Caterina de’ Medici a metà del ‘500.

I documenti di archivio testimoniano gli sforzi del sesto granduca di casa Medici per allargare la rete commerciale in campo enoico durante la Guerra di Successione spagnola (1702-1714). Durante gli anni della guerra, infatti, la Toscana riuscì a rimanere neutrale, evitando i contraccolpi produttivi e commerciali degli altri paesi europei a vocazione vitivinicola coinvolti nel conflitto. Fu un decennio privilegiato per il Granducato.

Una volta conclusa la guerra, però, la situazione cambiò drasticamente. A seguito degli accordi di pace firmati tra il 1712 e il 1714, i prodotti spagnoli, tedeschi e francesi furono riportati sul mercato e iniziarono i primi tentativi di contraffazione delle etichette. Questo fenomeno aumentò il danno, implicando per i vini toscani la perdita di una posizione di preminenza.

Il Bando del settembre del 1716 va inquadrato in questa cornice: la necessità per la politica granducale di rilanciare i vini toscani di maggior smercio e commercialmente più a rischio. Collegato al bando di settembre, un altro decreto, datato luglio 1716, mette chiaramente in evidenza anche regole di commercializzazione e stabilisce pene per chi le trasgredisce.

Recita il bando: “Motu proprio, s’è l’Altezza Sua Reale risoluta ad ordinare una nuova Congregazione quale invigili che i vini che sono commessi per navigare, siano muniti alla Spedizione con la maggior sicurezza per le qualità loro, e tutto per ovviare alle Fraudi, che ne potrebbe nascere […] La Pena ai Trasgressori sarà generalmente la perdita della Mercanzia, o il Valore di essa, non trovandosi in essere, per aumentarla ad arbitrio della medesima Congregazione”.

300 anni fa venne quindi anche costituita una congregazione, con compiti di vigilanza, che ricorda da vicino gli odierni Consorzi di Tutela.

Una ricorrenza come i Trecento anni dall’emanazione dell’editto costituisce un evento unico e non ripetibile che sancisce come la Toscana sia una delle culle mondiali dell’enologia di qualità.