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Il cotto è uno dei prodotti simbolo del territorio chiantigiano: i grandi maestri artigiani di questa arte antica si trovano in particolare a cavallo fra i comuni di Impruneta (luogo magico in questo senso) e Greve in Chianti.

La Cupola del Brunelleschi è solo un esempio della magia che il cotto, nei secoli, è riuscito a trasmettere: le fornaci storiche sono quelle che hanno portato avanti questa vera e propria arte (incredibile ancora oggi assistere alla “fuocata” di una di quelle che ancora si alimentano con le fascine), realizzando statue, vasi, orci. Basta viaggiare lungo le strade chiantigiane per trovare continue testimonianze: sui tetti, nei giardini, nelle case.

C’è poi tutta una “filiera”, quella del cotto più industriale, che si colloca in particolare al Ferrone, paese di confine fra Impruneta e Greve in Chianti, che ha subito più dell’altra la crisi del settore dell’edilizia.

Ed è comunque singolare notare che proprio nel territorio chiantigiano, dove questo prodotto è nato e si è affermato, siano pochissime, rarissime, le installazioni che mostrano anche il cotto del presente e del futuro. Non quello dei vasi, degli orci, delle tegole fatte a mano.

E se da un lato le nuove Cantine Antinori del Bargino, a San Casciano, hanno un rivestimento interno in cotto iper tecnologico (ma visibile, ovviamente, solo da coloro che vi entrano), andando a memoria c’è solo un’opera, una sola, che in Chianti racconta il “cotto 2.0” e visibile da tutti.

E’ la biblioteca “Carlo e Massimo Baldini”, in piazza Terra Madre a Greve in Chianti: inaugurata ufficialmente nel maggio del 2013, rappresenta nel nostro territorio l’unico, visibile esempio di utilizzo (in questo caso pubblico) del cotto in versione più “moderna”. Non sarà quindi che forse, lo stesso Chianti, riguardo a questo grande prodotto ha guardato, troppo a lungo, al passato…?