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L’affinamento in legno è da sempre una fase fondamentale nella creazione di grandi vini più o meno strutturati. Se però fino a qualche anno fa non era raro sentire da parte di titolati degustatori apprezzare la sua marcata presenza (“buono, si sente la barrique…”), ai nostri giorni il legno è tornato a recitare il ruolo che più in enologia gli compete: quello di comprimario del vino stesso.

L’affinamento in legno, infatti, è da sempre fase fondamentale nello smussare, esaltare, rendere complesso quel che il viticoltore ha ottenuto dalla propria vigna e dal processo fermentativo da questo gestito nella propria cantina.

In Toscana è ed era tradizione affinare il vino rosso in grandi botti di rovere o di castagno: l’effetto di queste influiva infatti con una certa delicatezza su vini che, prevalentemente a base di Sangiovese con percentuali di uva bianca, non si presentavano eccessivamente strutturati.

Con il mutare del gusto del mercato, dalla metà degli anni Ottanta, quando si è progressivamente assistito al proliferare di vini più concentrati, si è in parallelo cominciato a propendere verso affinamenti in fusti di legno più piccoli (barrique da 225 o 228 litri, tonneau da 500 litri) che avevano un effetto assai più marcante sui vini sia per un loro maggiore rapporto superficie/volume sia per il processo di tostatura usato durante la loro costruzione.
In molti casi, come in quelli più noti e riusciti nelle zone chiantigiane, i risultati sono stati eccellenti e hanno assurto molti vini a una meritata fama internazionale.

Molti produttori però, dagli anni Novanta, hanno cercato di cavalcare quest’onda (quella dei Supertuscan, per intendersi) senza però trovare giovamento dall’affinamento in barrique ma consentendo al legno di sopraffare il profilo aromatico e gustativo del vino.

Al contrario di conservazioni in vasche d’acciaio o di cemento, l’affinamento in legno arricchisce il vino di caratteri aromatici e strutturali, ancor più nel caso di barrique e di tonneau: una vasta gamma di aromi tostati e speziati complesseranno il vino nel tempo di affinamento così come vi sarà un incremento della frazione tannica grazie al rilascio di tannini ellagici dal legno al vino, con il rischio però di sovrastare il profilo organolettico del vino se non sufficientemente potente.

Questo effetto varia dalla provenienza del legno (Francia, Slavonia o, raramente da noi, Missouri), dell’eventuale tostatura subita dal legno in fase di costruzione, della stagionatura del legno e del tempo di contatto fra vino e legno.

Altro importante effetto è quello legato alla micro-ossigenazione: attraverso i pori del legno passa ossigeno che evolverà e “legherà” in strutture più “stabili” le componenti del vino (tannini, antociani, aromi e polisaccaridi).

Il dosaggio dipende ovviamente dalla qualità del legno, dal tipo di spacco usato nella costruzione del contenitore, da quanto si è usato il vaso vinario: la quantità di ossigeno penetrato nel legno varia fra 1 e 10 milligrammi/litro/mese, un differenziale ampio con effetti variabili sull’evoluzione del vino.

L’aspetto più critico resta quello microbiologico: più anni viene utilizzato un legno per l’affinamento, più vi sono rischi di inquinamento microbiologico da batteri e, soprattutto, da lieviti inquinanti come i “Brettanomyces”.

L’igienizzazione costante, fondamentale in qualsiasi frangente di cantina, è ancor più fondamentale quando si affinano vini in un contenitore come il legno, difficilissimo da sanitizzare: per evitare che aromi negativi come spunto acetico (acidità volatile) o odore di stalla o sudore di cavallo (4-etilfenolo) possano inquinare il vino, il cantiniere deve avere cura maniacale nel mantenere pulito il legno.
Un aspetto da non trascurare riguardo il legno, sono poi gli alti costi di utilizzo rispetto ad un affinamento in vasche d’acciaio o di cemento.

A questo proposito sempre più produttori ricorrono ad altre soluzioni che, seppur con risultati finali diversi, tagliano drasticamente i costi di affinamento: chips e staves.

In pratica nelle vasche d’acciaio dove fermenta il mosto in vino o dove affina il vino finito, vengono immersi sacchi porosi con trucioli o assi di legno con volute caratteristiche specifiche rilasciando nel vino tannini e aromi in una maniera apparentemente simile a quello di un affinamento in fusti di legno. Questa pratica, nata in California, è ora legale per i vini IGT Toscana ma non per i vini DOC e DOCG.

Dario Parenti

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