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Arguta e cordiale sin dalla sua espressione, tipica delle nonne chiantigiane, e dotata di una grande capacità comunicativa.

Dai racconti di Lina Selvolini riemerge come per capitoli la storia del borgo di Volpaia, probabilmente il più affascinante e integro del comune di Radda in Chianti.

Lina Selvolini – vietato per sua stessa volontà chiamarla signora – e i suoi antenati hanno abitato, nel corso dei secoli, in una delle più imponenti case costruite nel corpo della cinta muraria del castello, oggi divisa e adibita a struttura ricettiva se non per l’abitazione in cui lei stessa vive e al cui ingresso è ancora scolpita sulla pietra e ben visibile una Croce di Malta dal fascino secolare.

Lina racconta di come la sua famiglia abbia gestito”per duecento anni” una storica bottega di generi alimentari, poi cresciuta con la vendita di sali e tabacchi, infine venduta alla fine degli anni Cinquanta.

Ma, per evidenti ragioni anagrafiche, è dall’epoca della Seconda Guerra mondiale che Lina restituisce i ricordi e i racconti più diretti e suggestivi, forse anche per il segno lasciato in lei, bambina non ancora di dieci anni, dalla terribile esperienza dell’occupazione militare nazifascista.

In quel contesto di profonda ruralità, dove i rapporti di lavoro procedevano ancora secondo i canoni mezzadrili dei proprietari terrieri (l’industriale Faini, il marchese Bartolini e il signor Piercapponi) che offrivano il lavoro nei campi alle famiglie del luogo, i soldati tedeschi avevano individuato nei locali di Casa Selvolini la base logistica del loro comando territoriale.

Ed è proprio dai quei giorni di guerra che Lina ricostruisce in maniera lucida e circostanziata una vicenda che rivela il sapore genuino e semplice della solidarietà contadina chiantigiana. Alcune famiglie sfollate da Livorno erano infatti giunte alla Volpaia per cercare il rifugio e il lavoro che la città portuale, pesantemente bombardata, non poteva garantire.

Carlo, Irma e Sandro i nomi dei bambini della famiglia Bertoli che trovò dimora nelle stanze di Casa Selvolini e che si integrò bene con i circa 300 residenti di Volpaia, “nonostante che all’inizio – ci dice sorridendo Lina – stessero un po’ sulle scale”, ovvero con qualche atteggiamento altezzoso, per rimarcare il loro status cittadino.

Il matrimonio tra Carlo Bertoli e l’autoctona Teresa Selvolini finì per suggellare il legame speciale che si era creato in quegli anni difficili tra la piccola frazione di Volpaia e le famiglie ospiti di Livorno.

E come la storia di Casa Selvolini pare racchiudere ed esprimere l’avvicendamento dei secoli nel borgo di Volpaia, così “nonna” Lina sembra interpretarne l’anima più vera.

Cosimo Ciampoli