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Daniele Ciampi ci accoglie nello splendido complesso di Monterinaldi, sulla strada che oltrepassato Lucarelli porta verso Radda in Chianti: qui dove le vigne si confondono con i boschi. Il suo racconto affonda le sue radici ben oltre 50 anni fa.

“Ero molto piccolo nel 1961 – inizia Daniele – mio padre Remo era un assicuratore a Torino, ma aveva una gran voglia di tornare nella sua Toscana. Decise di cercare una casa in campagna. Capitò l’occasione di un signore che vendeva per dismettere l’attività questa azienda: c’erano la villa (Pesanella) più una dozzina di poderi, campi, pochissime vigne. Bisogna tenere presente che in quegli anni da queste zone si scappava a gambe levate, non c’era telefono, le strade non si potevano nemmeno chiamare così”.

Fu una sorta di colpo di fulmine: “L’avrebbe comprata da sola – ricorda Daniele – ma il Cavalier Lenzi voleva vendere tutto insieme o niente. Mio padre ci pensò su, il prezzo era davvero vantaggioso, molto interessante. Lui disse: ho sempre fatto il passo più lungo della gamba, lo faccio anche stavolta”.

Inizia da qui anche il percorso vitivinicolo: “Nel 1962 cominciò subito a fare i primi vigneti specializzati, anche se un po’ da “ignorante”, con un sacco di errori. Iniziò la produzione del Chianti Classico: è del 1967 la prima etichetta Monterinaldi Chianti Classico”.

La tenuta oggi si estende su 280 ettari, di cui 65 a vigna (quasi tutti a Chianti Classico), 20 ettari a oliveto, poi noceti e bosco promiscuo.

Poi, “di striscio” come dice lui, Daniele arriva in azienda: “Venni a viverci nel 1974, per dieci anni ho fatto altre cose, in pianta stabile ho iniziato nel 1991. Come ho visto cambiare il vino? Siamo passati da un prodotto che beveva il nonno a un prodotto di elite. E adesso sta tornando un prodotto da bere”.

Nel futuro? “Ci vuole un enorme sforzo di promozione del marchio. Io non credo che sia una cosa positiva fare la guerra agli altri. Il mio Chianti Classico? Cerca di mettere d’accordo i vecchi e i nuovi. Non vogliamo un Chianti Classico “internazionale”, ma deve comunque vendere nel mondo: il Chianti come era una volta è improponibile, non ci sono più nemmeno i cloni del Sangiovese e nemmeno il gusto del Chianti beverino nel fiasco. Si possono fare dei Chianti Classico che incontrano il gusto di una buona parte di persone senza “calare le braghe”, senza eccessi con i legni, con i vitigni internazionali. E poi l’azienda deve imprimere il proprio stile: il vino deve piacere innanzi tutto a chi produce perché a seguire… deve venderlo!”.

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