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Negli ultimi anni si sta sempre più affermando da parte dei consumatori l’interesse verso vini manipolati il meno possibile e che limitino al massimo l’impatto sulla salute.

Se l’attenzione maggiore è senz’altro volta verso i vini biologici, con un livello qualitativo medio molto aumentato nel corso degli ultimi quindici anni, sul mercato stanno riscuotendo attenzione anche vini biodinamici, naturali, vegani (!) e, sempre più, vini a basso contenuto di solfiti.

I solfiti sono molecole che nei vini provengono prevalentemente dall’utilizzo di anidride solforosa, un conservante da tempo utilizzato in tutti i settori agroalimentari e aggiunto al vino sotto forma gassosa o, più frequentemente, come sale (meta-bisolfito di potassio). Nel vino la loro presenza è evidente a livello di etichetta (“contiene solfiti”), la normativa europea prevede un limite di 150 milligrammi/litro per i vini rossi e a 200 milligrammi/litro per i bianchi che si abbassa rispettivamente a 100 e 150 nel biologico.

La solforosa è usata sulle uve raccolte, nel mosto e poi nel vino con un ampio spettro d’azione le cui principali sono due: anti-microbica (protegge da batteri e lieviti) e anti-ossidante (limita la miscelazione dall’ossigeno nel vino). C’è però un problema: la solforosa è tossica e, a seconda delle quantità ingerite, la salute del consumatore ne risente (vedi il mal di testa del giorno dopo). Da qui la volontà di molti produttori di limitarne l’uso fino ad azzerarlo, dove possibile, senza comunque compromettere la qualità di un vino.

E non necessariamente per fare un vino “senza solfiti” aggiunti: in passato gli agricoltori aggiungevano dosi eccessive di metabisolfito, oggi il vignaiolo cerca di razionalizzarne l’utilizzo.

Sul piano anti-microbico, se non vogliamo utilizzare prodotti esterni più nocivi o più selettivi della solforosa stessa (dimetil-carbammato, lisozima) si sfrutta la filtrazione e si mantiene la cantina ben igienizzata (non solo l’interno dei vasi vinari e dei tubi ma tutta la cantina è una potenziale fonte d’inoculo microbiologico), sul piano anti-ossidante è possibile usare prodotti anti-ossidanti sostitutivi della solforosa (tannini, glutatione, acido ascorbico) ma molti produttori usano accorgimenti “naturali” e pratici.

Innanzitutto tenere i vini a temperatura non bassa durante i travasi o le filtrazioni perché, in conseguenza della legge dei gas, un liquido ne assorbe una quantità maggiore più è bassa la temperatura. Viene anche sfruttata l’anidride carbonica (CO2) residua dalla fermentazione alcolica: uno scudo chimico-fisico che impedisce o limita l’accesso dell’ossigeno nel liquido. In ultimo, nei vini bianchi si può sfruttare l’effetto anti-ossidante delle fecce di fermentazione, rimesse in soluzione con la tecnica del “batonage”.

Molto frequente è anche l’utilizzo di gas inerti come argon, anidride carbonica, azoto: evitano che un vino entri violentemente in contatto con l’ossigeno saturando gli spazi vuoti (vasche, filtri, tubi) dove potrebbe trovare aria.
Per finire un paradosso dei vini senza solfiti aggiunti: sulla maggior parte di questi vini, sull’etichetta troverete comunque la dicitura “contiene solfiti”.

Questo perché la maggior parte dei lieviti durante il processo di fermentazione alcolica anche produce una quantità di solfiti in un ordine maggiore di 10 mg/l (anche fino a 40 mg/l!), quantità oltre la quale la dicitura è obbligatoria ai fini di legge: pur senza aggiungere solforosa i vini conterranno solfiti!

Dario Parenti